Genesi 16, 1-16

1 Or Sarai, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Aveva una serva egiziana di nome Agar. 2 Sarai disse ad Abramo: «Ecco, il SIGNORE mi ha fatta sterile; ti prego, va’ dalla mia serva; forse avrò figli da lei». E Abramo diede ascolto alla voce di Sarai. 3 Così, dopo dieci anni di residenza di Abramo nel paese di Canaan, Sarai, moglie di Abramo, prese la sua serva Agar, l’Egiziana, e la diede per moglie ad Abramo suo marito.
4 Egli andò da Agar, che rimase incinta; e quando si accorse di essere incinta, guardò la sua padrona con disprezzo. 5 Sarai disse ad Abramo: «L’offesa fatta a me ricada su di te! Io ti ho dato la mia serva in seno e, da quando si è accorta d’essere incinta, mi guarda con disprezzo. Il SIGNORE sia giudice fra me e te». 6 Abramo rispose a Sarai: «Ecco, la tua serva è in tuo potere; falle ciò che vuoi». Sarai la trattò duramente e quella se ne fuggì da lei.
7 L’angelo del SIGNORE la trovò presso una sorgente d’acqua, nel deserto, presso la sorgente che è sulla via di Sur, 8 e le disse: «Agar, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?» Lei rispose: «Fuggo dalla presenza di Sarai mia padrona». 9 L’angelo del SIGNORE le disse: «Torna dalla tua padrona e umiliati sotto la sua mano». 10 L’angelo del SIGNORE soggiunse: «Io moltiplicherò grandemente la tua discendenza e non la si potrà contare, tanto sarà numerosa». 11 L’angelo del SIGNORE le disse ancora: «Ecco, tu sei incinta e partorirai un figlio a cui metterai il nome di Ismaele, perché il SIGNORE ti ha udita nella tua afflizione; 12 egli sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui; e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli». 13 Allora Agar diede al SIGNORE, che le aveva parlato, il nome di Atta-El-Roi, perché disse: «Ho io, proprio qui, veduto andarsene colui che mi ha vista?» 14 Perciò quel pozzo fu chiamato il pozzo di Lacai-Roi. Ecco, esso è tra Cades e Bered.
15 Agar partorì un figlio ad Abramo. Al figlio che Agar gli aveva partorito Abramo mise il nome d’Ismaele. 16 Abramo aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele.

 

 

Cara Comunità riunita nella domenica del Buon Pastore,

 

nella storia appena ascoltata non ci sono pastori!

Oppure avete scoperto la presenza di un pastore, in questo racconto antichissimo?

Sentiamo che la coppia costituita da Abraamo e Sara invecchia sempre più, restando senza figli.

Sentiamo descrivere le idee particolari, ma anche pericolose, di Sara di proporre la propria serva come madre surrogata.

Sentiamo che il patriarca Abraamo, vecchio, ma, evidentemente, non esperto della vita, accetta senza pensarci questa proposta.

Sentiamo di Agar, la giovane serva incinta, che per paura della padrona fugge nel deserto.

Sentiamo del deserto e dell’asino selvatico, ma non di pascoli, pecore e pastori!

Che cosa ci fa questo racconto in questa domenica?

 

Tutti i personaggi del racconto non sono esempi morali.

Tutti i sistemi che troviamo devono irritarci. L’uomo patriarcale, cui si devono procurare preferibilmente eredi maschi, perché solo così è completamente uomo; il suo accesso a tutte le donne della stirpe e alla maternità surrogata che, dobbiamo dirlo per scusare Sara, non fu una sua idea, ma che, nell’antico Oriente, era soluzione usuale alla maternità mancata: una schiava poteva portare un bambino “in nome“ della padrona sterile, cui poi il bambino veniva attribuito.

La maternità surrogata esiste ancora oggi, non da parte di schiave, ma pagata con soldi.

Ma che la maternità non possa essere semplicemente “prestata“ e che, nei nove mesi della gravidanza, tra madre e bambino si formi una relazione unica, che non finisce semplicemente con la “consegna“ del bambino, può farci riflettere.

E poi non abbiamo ancora parlato del ruolo dell’uomo, che è un misto di educatore, amante e marito comprensivo.

Il patriarca Abraamo, qui, concepisce un bambino, ma non convince come persona. Usa la schiava di sua moglie; getta sua moglie in una crisi di gelosia e perdita del valore personale. E poi, quando si tratta di prendere posizione e di stare al fianco del bambino concepito e di sua madre, non si dimostra per nulla patriarcale, ma lascia la decisione alla amareggiata:

È la tua schiava: fa’ come vuoi!

E su tutto campeggia questo:

Abraamo non avrebbe dovuto farsi coinvolgere in questa soluzione ingannevole. Dio gli aveva promesso discendenza.

Abraamo volle contribuire a questa promessa, cercando una soluzione umana a portata di mano.

Alla mancanza di morale si aggiunge la mancanza di fede!

No, in questa storia i protagonisti proprio non ci convincono!

Perfino Agar, che si potrebbe considerare vittima di tutto questo pasticcio, si pone al di sopra della sua padrona, data la sua gravidanza riuscita; ciò le procura l’odio della padrona. Allora, non mette la vita del suo figlio non ancora nato in cima a tutto, ma fugge a rotta di collo nel deserto, luogo pericoloso, perché non regge più la pressione psicologica.

 

Siamo dunque molto lontani dai pascoli verdi cui ci guiderà la fede. La fede in Dio, di cui Abraamo è simbolo in tutta la Bibbia, sembra non dispiegare per lei alcuna forza orientativa.

Se noi, come Chiesa, spesso giustifichiamo la nostra fede come fondamento di un’etica convincente, responsabile, permeata di senso di umanità, allora faremmo meglio a tacere riguardo questa storia.

Abraamo e Sara vanno errando per la vita, che nel loro caso è di sicuro difficile, senza alcun tipo di bussola interiore. Agar non vi trova posto e fugge disperata nel deserto.

Qui si pensa a qualcosa di più che a un errare nella valle oscura e alla verga e al bastone del pastore che stabiliscono la direzione in cui andare.

In questa storia si ritrovano più abissi umani che prati idilliaci.

È una situazione senza pastori. Non c’è una guida. Il patriarca fallisce nella sua posizione di dominio. Sara non dimostra alcuna linea chiara di comportamento: prima propone ella stessa la maternità surrogata; quando questa soluzione ha successo, il suo umore si ribalta ed è ostile alla sua schiava. Agar diventa una palla che rimbalza tra i suoi padroni ed è vittima dei propri umori.

È una situazione senza pastori. Senza autorità convincenti; senza linee chiare; senza prospettive chiare.

È una situazione senza pastori, come se ne presentano anche nel nostro mondo, oggi: una società senza bussola morale, senza politici carismatici dotati di autorevolezza naturale; una società che, avendo opinioni diverse, si spacca andando in direzioni divergenti e che non è diretta, né sul piano economico né su quello ecologico, verso un’epoca d’oro o, come oggi è meglio dire, verso pascoli verdi.

È una situazione senza pastori, come se ne presentano anche nella propria vita: senza partner affidabili al lavoro; senza persone fidate al fianco, che forse si sono perdute; senza prospettiva chiara riguardo a ciò che porterà il domani.

Per amor di Dio, dov’è il pastore?

 

La domanda è buona, perché dobbiamo porcela dopo tutto questo!

La domanda è buona, perché troveremo risposta.

Vuol dire questo: chi guarda con attenzione, trova risposta.

Chi vede solo pascoli idilliaci, dolce atmosfera bucolica, pecorelle e un pastore con la barba, resterà deluso, tanto dalla fede cristiana quanto dal nostro racconto.

Ma chi guarderà con attenzione, scoprirà qualcosa!

 

Nel punto in assoluto più profondo della nostra storia, quando Agar, incinta, finisce in pericolo di vita nel deserto, non c’è solo che vi si trova una sorgente d’acqua, ma anche che qui viene trovata dall’angelo di Dio.

Questa formulazione non è solo il punto di svolta della nostra storia, ma ha anche contenuto in sé:

“ L’angelo del SIGNORE la trovò presso una sorgente d’acqua, nel deserto.“

Viene trovata!

Questa è la svolta salvifica; questa è l’esperienza di fede redentrice:

io vengo trovato: nel mio stato di perdutezza, nella mia miseria, nella mia umiliazione, nella mia situazione senza vie d’uscita, nella mia sete di vita e di riconoscimento.

Agar, che nella sua giovane vita non ha più trovato qualcosa che le corrispondesse, e che vedeva solo un cumulo di cocci, Agar viene trovata.

Questa non è solo l’esperienza centrale della fede, ma è anche l’attività centrale del pastore: trovare quel che è andato perduto.

Ed è qui che lo troviamo, il Buon Pastore, in mezzo a una storia senza pastori!

Il segno distintivo principale del Buon Pastore non è la guida, non è il precedere, non è la cura della buona atmosfera idilliaca per le pecore liete e anche ingenue. Il segno distintivo principale del Buon Pastore è cercare e trovare ciò che è perduto.

Il segno distintivo principale non è il procurare fin dal principio, garantendola, una vita spensierata su prati abbondanti, vita in cui nulla manca e non viene torto nemmeno un pelo. Il segno distintivo principale del Buon Pastore è esserci e intervenire quando tutto è andato storto, quando ci si è smarriti e non si può uscire con le proprie forze da quella situazione.

Gesù, descrivendo il Buon Pastore, non ne cita la forza che si impone né il suo essere sempre in vista e neanche le vie diritte su cui guida e nemmeno i pascoli abbondanti; ma si concentra su un punto: il Buon Pastore è riconoscibile quando si finisce alle strette, quando una pecora si smarrisce, quando viene il lupo.

Nel Venerdì Santo e a Pasqua lo abbiamo potuto compitare di nuovo: il Buon Pastore soffre per le pecore.

 

Care Sorelle e cari Fratelli, la fede biblica nel Buon Pastore non è l’ideale di un idillio spensierato, ma è la fiducia che Dio mi trovi quando giaccio a terra; che Dio mi veda, quando non so come andare avanti; anzi, è la certezza che Gesù mi ha già trovato quando mi ero perduto nella mia autoreferenzialità egoistica (= peccato).

 

La fiducia nel Buon Pastore non si esercita sui verdi pascoli ubertosi, ma si dimostra nella valle oscura, quando non può aiutarci nessun altro.

È questo che ci dice la storia di Agar, che non trovò alcuna convincente figura di pastore negli uomini della sua epoca e che non trovò nemmeno nel deserto un vero pastore dal sorriso dolce e dalla ciaramella lietamente risuonante. Ma, giacendo a terra, fece l’esperienza che Dio la vede; che qualcuno presta attenzione a lei; che la sua vita ha valore e prospettiva che porta al futuro.

[L’angelo] “le disse: «Agar, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?» Lei rispose: «Fuggo dalla presenza di Sarai mia padrona».

L’angelo è interessato al suo passato e le indica il futuro.

E questo, a noi, non dice altro che questo:

Dio è interessato alla nostra vita, per quanto sia chiusa, e le dà valore. E Dio ha un futuro per noi, per quanto la nostra vita possa apparire complicata e gravosa!

Agar trova, a questa sorgente, non solo acqua da bere, ma anche la forza di andare verso il futuro e di riprendere in mano la sua vita.

Dopo essere stata usata da Abraamo e umiliata dalla sua padrona, può dire: “Tu sei un Dio che mi vede“. E con ciò ella ha ritrovato il suo centro, la sua dignità e il suo valore.

Si badi bene: non per mezzo di altre persone, né con le proprie forze e neanche per miracolo, ma per mezzo dell’esperienza che Dio l’ha vista, che l’angelo del Signore l’ha trovata.

Viviamo in un’epoca senza pastori. Molte persone ci devono la responsabilità e il rispetto che ci sono dovuti.

Molti sistemi, oggi, sono diversi dalla cultura nomade patriarcale dei tempi di Abraamo, ma non tutto è migliore e più misericordioso.

Come cristiani, viviamo in questo mondo senza pastori. Non andiamo solo su pascoli verdi né v vediamo Gesù ad aspettarci ad ogni angolo di strada.

 

In questo mondo senza pastori, però, come Agar non siamo perduti, ma possiamo farci trovare, sempre di nuovo e, un giorno, proprio all’ultimo, da un Buon Pastore che è più fedele che visibile, perché può condurre e guidare dove nessun essere umano è mai stato; perché ha vissuto personalmente l’esperienza della valle oscura e l’ha attraversata tutta e perché nessuna pecora smarrita è di valore troppo piccolo per lui.

Egli cerca: tu vieni trovato.

Amen.Genesi 16, 1-16

1 Or Sarai, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Aveva una serva egiziana di nome Agar. 2 Sarai disse ad Abramo: «Ecco, il SIGNORE mi ha fatta sterile; ti prego, va’ dalla mia serva; forse avrò figli da lei». E Abramo diede ascolto alla voce di Sarai. 3 Così, dopo dieci anni di residenza di Abramo nel paese di Canaan, Sarai, moglie di Abramo, prese la sua serva Agar, l’Egiziana, e la diede per moglie ad Abramo suo marito.
4 Egli andò da Agar, che rimase incinta; e quando si accorse di essere incinta, guardò la sua padrona con disprezzo. 5 Sarai disse ad Abramo: «L’offesa fatta a me ricada su di te! Io ti ho dato la mia serva in seno e, da quando si è accorta d’essere incinta, mi guarda con disprezzo. Il SIGNORE sia giudice fra me e te». 6 Abramo rispose a Sarai: «Ecco, la tua serva è in tuo potere; falle ciò che vuoi». Sarai la trattò duramente e quella se ne fuggì da lei.
7 L’angelo del SIGNORE la trovò presso una sorgente d’acqua, nel deserto, presso la sorgente che è sulla via di Sur, 8 e le disse: «Agar, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?» Lei rispose: «Fuggo dalla presenza di Sarai mia padrona». 9 L’angelo del SIGNORE le disse: «Torna dalla tua padrona e umiliati sotto la sua mano». 10 L’angelo del SIGNORE soggiunse: «Io moltiplicherò grandemente la tua discendenza e non la si potrà contare, tanto sarà numerosa». 11 L’angelo del SIGNORE le disse ancora: «Ecco, tu sei incinta e partorirai un figlio a cui metterai il nome di Ismaele, perché il SIGNORE ti ha udita nella tua afflizione; 12 egli sarà tra gli uomini come un asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di lui; e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli». 13 Allora Agar diede al SIGNORE, che le aveva parlato, il nome di Atta-El-Roi, perché disse: «Ho io, proprio qui, veduto andarsene colui che mi ha vista?» 14 Perciò quel pozzo fu chiamato il pozzo di Lacai-Roi. Ecco, esso è tra Cades e Bered.
15 Agar partorì un figlio ad Abramo. Al figlio che Agar gli aveva partorito Abramo mise il nome d’Ismaele. 16 Abramo aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele.

 

 

Cara Comunità riunita nella domenica del Buon Pastore,

 

nella storia appena ascoltata non ci sono pastori!

Oppure avete scoperto la presenza di un pastore, in questo racconto antichissimo?

Sentiamo che la coppia costituita da Abraamo e Sara invecchia sempre più, restando senza figli.

Sentiamo descrivere le idee particolari, ma anche pericolose, di Sara di proporre la propria serva come madre surrogata.

Sentiamo che il patriarca Abraamo, vecchio, ma, evidentemente, non esperto della vita, accetta senza pensarci questa proposta.

Sentiamo di Agar, la giovane serva incinta, che per paura della padrona fugge nel deserto.

Sentiamo del deserto e dell’asino selvatico, ma non di pascoli, pecore e pastori!

Che cosa ci fa questo racconto in questa domenica?

 

Tutti i personaggi del racconto non sono esempi morali.

Tutti i sistemi che troviamo devono irritarci. L’uomo patriarcale, cui si devono procurare preferibilmente eredi maschi, perché solo così è completamente uomo; il suo accesso a tutte le donne della stirpe e alla maternità surrogata che, dobbiamo dirlo per scusare Sara, non fu una sua idea, ma che, nell’antico Oriente, era soluzione usuale alla maternità mancata: una schiava poteva portare un bambino “in nome“ della padrona sterile, cui poi il bambino veniva attribuito.

La maternità surrogata esiste ancora oggi, non da parte di schiave, ma pagata con soldi.

Ma che la maternità non possa essere semplicemente “prestata“ e che, nei nove mesi della gravidanza, tra madre e bambino si formi una relazione unica, che non finisce semplicemente con la “consegna“ del bambino, può farci riflettere.

E poi non abbiamo ancora parlato del ruolo dell’uomo, che è un misto di educatore, amante e marito comprensivo.

Il patriarca Abraamo, qui, concepisce un bambino, ma non convince come persona. Usa la schiava di sua moglie; getta sua moglie in una crisi di gelosia e perdita del valore personale. E poi, quando si tratta di prendere posizione e di stare al fianco del bambino concepito e di sua madre, non si dimostra per nulla patriarcale, ma lascia la decisione alla amareggiata:

È la tua schiava: fa’ come vuoi!

E su tutto campeggia questo:

Abraamo non avrebbe dovuto farsi coinvolgere in questa soluzione ingannevole. Dio gli aveva promesso discendenza.

Abraamo volle contribuire a questa promessa, cercando una soluzione umana a portata di mano.

Alla mancanza di morale si aggiunge la mancanza di fede!

No, in questa storia i protagonisti proprio non ci convincono!

Perfino Agar, che si potrebbe considerare vittima di tutto questo pasticcio, si pone al di sopra della sua padrona, data la sua gravidanza riuscita; ciò le procura l’odio della padrona. Allora, non mette la vita del suo figlio non ancora nato in cima a tutto, ma fugge a rotta di collo nel deserto, luogo pericoloso, perché non regge più la pressione psicologica.

 

Siamo dunque molto lontani dai pascoli verdi cui ci guiderà la fede. La fede in Dio, di cui Abraamo è simbolo in tutta la Bibbia, sembra non dispiegare per lei alcuna forza orientativa.

Se noi, come Chiesa, spesso giustifichiamo la nostra fede come fondamento di un’etica convincente, responsabile, permeata di senso di umanità, allora faremmo meglio a tacere riguardo questa storia.

Abraamo e Sara vanno errando per la vita, che nel loro caso è di sicuro difficile, senza alcun tipo di bussola interiore. Agar non vi trova posto e fugge disperata nel deserto.

Qui si pensa a qualcosa di più che a un errare nella valle oscura e alla verga e al bastone del pastore che stabiliscono la direzione in cui andare.

In questa storia si ritrovano più abissi umani che prati idilliaci.

È una situazione senza pastori. Non c’è una guida. Il patriarca fallisce nella sua posizione di dominio. Sara non dimostra alcuna linea chiara di comportamento: prima propone ella stessa la maternità surrogata; quando questa soluzione ha successo, il suo umore si ribalta ed è ostile alla sua schiava. Agar diventa una palla che rimbalza tra i suoi padroni ed è vittima dei propri umori.

È una situazione senza pastori. Senza autorità convincenti; senza linee chiare; senza prospettive chiare.

È una situazione senza pastori, come se ne presentano anche nel nostro mondo, oggi: una società senza bussola morale, senza politici carismatici dotati di autorevolezza naturale; una società che, avendo opinioni diverse, si spacca andando in direzioni divergenti e che non è diretta, né sul piano economico né su quello ecologico, verso un’epoca d’oro o, come oggi è meglio dire, verso pascoli verdi.

È una situazione senza pastori, come se ne presentano anche nella propria vita: senza partner affidabili al lavoro; senza persone fidate al fianco, che forse si sono perdute; senza prospettiva chiara riguardo a ciò che porterà il domani.

Per amor di Dio, dov’è il pastore?

 

La domanda è buona, perché dobbiamo porcela dopo tutto questo!

La domanda è buona, perché troveremo risposta.

Vuol dire questo: chi guarda con attenzione, trova risposta.

Chi vede solo pascoli idilliaci, dolce atmosfera bucolica, pecorelle e un pastore con la barba, resterà deluso, tanto dalla fede cristiana quanto dal nostro racconto.

Ma chi guarderà con attenzione, scoprirà qualcosa!

 

Nel punto in assoluto più profondo della nostra storia, quando Agar, incinta, finisce in pericolo di vita nel deserto, non c’è solo che vi si trova una sorgente d’acqua, ma anche che qui viene trovata dall’angelo di Dio.

Questa formulazione non è solo il punto di svolta della nostra storia, ma ha anche contenuto in sé:

“ L’angelo del SIGNORE la trovò presso una sorgente d’acqua, nel deserto.“

Viene trovata!

Questa è la svolta salvifica; questa è l’esperienza di fede redentrice:

io vengo trovato: nel mio stato di perdutezza, nella mia miseria, nella mia umiliazione, nella mia situazione senza vie d’uscita, nella mia sete di vita e di riconoscimento.

Agar, che nella sua giovane vita non ha più trovato qualcosa che le corrispondesse, e che vedeva solo un cumulo di cocci, Agar viene trovata.

Questa non è solo l’esperienza centrale della fede, ma è anche l’attività centrale del pastore: trovare quel che è andato perduto.

Ed è qui che lo troviamo, il Buon Pastore, in mezzo a una storia senza pastori!

Il segno distintivo principale del Buon Pastore non è la guida, non è il precedere, non è la cura della buona atmosfera idilliaca per le pecore liete e anche ingenue. Il segno distintivo principale del Buon Pastore è cercare e trovare ciò che è perduto.

Il segno distintivo principale non è il procurare fin dal principio, garantendola, una vita spensierata su prati abbondanti, vita in cui nulla manca e non viene torto nemmeno un pelo. Il segno distintivo principale del Buon Pastore è esserci e intervenire quando tutto è andato storto, quando ci si è smarriti e non si può uscire con le proprie forze da quella situazione.

Gesù, descrivendo il Buon Pastore, non ne cita la forza che si impone né il suo essere sempre in vista e neanche le vie diritte su cui guida e nemmeno i pascoli abbondanti; ma si concentra su un punto: il Buon Pastore è riconoscibile quando si finisce alle strette, quando una pecora si smarrisce, quando viene il lupo.

Nel Venerdì Santo e a Pasqua lo abbiamo potuto compitare di nuovo: il Buon Pastore soffre per le pecore.

 

Care Sorelle e cari Fratelli, la fede biblica nel Buon Pastore non è l’ideale di un idillio spensierato, ma è la fiducia che Dio mi trovi quando giaccio a terra; che Dio mi veda, quando non so come andare avanti; anzi, è la certezza che Gesù mi ha già trovato quando mi ero perduto nella mia autoreferenzialità egoistica (= peccato).

 

La fiducia nel Buon Pastore non si esercita sui verdi pascoli ubertosi, ma si dimostra nella valle oscura, quando non può aiutarci nessun altro.

È questo che ci dice la storia di Agar, che non trovò alcuna convincente figura di pastore negli uomini della sua epoca e che non trovò nemmeno nel deserto un vero pastore dal sorriso dolce e dalla ciaramella lietamente risuonante. Ma, giacendo a terra, fece l’esperienza che Dio la vede; che qualcuno presta attenzione a lei; che la sua vita ha valore e prospettiva che porta al futuro.

[L’angelo] “le disse: «Agar, serva di Sarai, da dove vieni e dove vai?» Lei rispose: «Fuggo dalla presenza di Sarai mia padrona».

L’angelo è interessato al suo passato e le indica il futuro.

E questo, a noi, non dice altro che questo:

Dio è interessato alla nostra vita, per quanto sia chiusa, e le dà valore. E Dio ha un futuro per noi, per quanto la nostra vita possa apparire complicata e gravosa!

Agar trova, a questa sorgente, non solo acqua da bere, ma anche la forza di andare verso il futuro e di riprendere in mano la sua vita.

Dopo essere stata usata da Abraamo e umiliata dalla sua padrona, può dire: “Tu sei un Dio che mi vede“. E con ciò ella ha ritrovato il suo centro, la sua dignità e il suo valore.

Si badi bene: non per mezzo di altre persone, né con le proprie forze e neanche per miracolo, ma per mezzo dell’esperienza che Dio l’ha vista, che l’angelo del Signore l’ha trovata.

Viviamo in un’epoca senza pastori. Molte persone ci devono la responsabilità e il rispetto che ci sono dovuti.

Molti sistemi, oggi, sono diversi dalla cultura nomade patriarcale dei tempi di Abraamo, ma non tutto è migliore e più misericordioso.

Come cristiani, viviamo in questo mondo senza pastori. Non andiamo solo su pascoli verdi né v vediamo Gesù ad aspettarci ad ogni angolo di strada.

 

In questo mondo senza pastori, però, come Agar non siamo perduti, ma possiamo farci trovare, sempre di nuovo e, un giorno, proprio all’ultimo, da un Buon Pastore che è più fedele che visibile, perché può condurre e guidare dove nessun essere umano è mai stato; perché ha vissuto personalmente l’esperienza della valle oscura e l’ha attraversata tutta e perché nessuna pecora smarrita è di valore troppo piccolo per lui.

Egli cerca: tu vieni trovato.

Amen.

Misericordias Domini – Pastore Dr. Jonas