Predica: Atti 3, 1-10 Decano Carsten Gerdes
Cara Comunità di Roma,
voi che vivete in questa bella città li incontrate spesso. E anche noi che abbiamo viaggiato per venire qui,
e che passeggiamo per le vie, notiamo che, davanti a ogni chiesa, ci sono 1 o 2 persone che chiedono
l’elemosina. Talvolta sono sedute sui gradini del sagrato, altre volte vengono incontro. Riconosciamo loro
e la loro richiesta prima ancora che aprano bocca o che ci tendano la mano aperta. E allora? Sentiamo
questo come disturbo? Diamo via una moneta, in fretta, oppure scuotiamo la tesa perché vogliamo
continuare senza fermarci? Guardiamo l’altro in faccia, cercando di leggere nei suoi occhi, di vedere il suo
volto? Oppure abbiamo il sospetto che, dietro, ci sia un inganno ben studiato per fare denaro?
A Gerusalemme, 2000 anni fa, la situazione era simile.
1 Pietro e Giovanni salivano al tempio per la preghiera dell’ora nona,2 mentre si portava un uomo, zoppo
fin dalla nascita, che ogni giorno deponevano presso la porta del tempio detta «Bella» per chiedere
l’elemosina a quelli che entravano nel tempio.3 Vedendo Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel
tempio, egli chiese loro l’elemosina.4 Pietro, con Giovanni, fissando gli occhi su di lui, disse:
«Guardaci!»5 Ed egli li guardava attentamente, aspettando di ricevere qualcosa da loro.6 Ma Pietro
disse: «Dell’argento e dell’oro io non ne ho; ma quello che ho, te lo do: nel nome di Gesù Cristo, il
Nazareno, alzati e cammina!»7 Lo prese per la mano destra, lo sollevò; e in quell’istante i piedi e le
caviglie gli si rafforzarono.8 E con un balzo si alzò in piedi e cominciò a camminare; ed entrò con loro
nel tempio camminando, saltando e lodando Dio.
9 Tutto il popolo lo vide che camminava e lodava Dio;10 e lo riconoscevano per colui che sedeva a
chiedere l’elemosina alla porta Bella del tempio; e furono pieni di meraviglia e di stupore per quello che
gli era accaduto.
È bello che l’uomo avesse amici che lo portassero regolarmente in quel luogo, affinché potesse chiedere
l’elemosina per sé e, magari, perfino la sua famiglia. Questo è stato il mio primo pensiero, leggendo.
Come gli uomini che scoperchiarono un tetto per deporre un paralitico ai piedi di Gesù. Ma forse era solo
un inganno per fare denaro, è stato il mio secondo pensiero. Come accade con molte madri con bambini in
braccio, ai tempi nostri.
L’uomo vede Pietro e Giovanni; anzi no, meglio: vedere venire due persone cui può chiedere denaro.
Pietro lo sollecita: “Guardaci”. Cioè considera chi si trova davanti a te. Possiamo dare più di un paio di
monete.
Allora l’uomo guarda i due, continuando ad aspettare che gli diano quel che vuole, cioè denaro.
Adesso, Pietro parla in modo ancora più chiaro: “Dell’oro e dell’argento non ne ho”. Ma abbiamo
qualcos’altro; qualcosa che vale più del denaro, più di cibo e bevanda e più di un tetto sulla testa. E ti
diamo volentieri parte di ciò che abbiamo. Vogliamo trasmetterti qualcosa della nostra ricchezza,
condividerla con te.
A questo punto, lascio la scena che si svolge a Gerusalemme per sviluppare due idee.
Primo: io e noi. In tutto il capitolo, si dice sempre che “Pietro e Giovanni” vanno insieme. Ma quando si
giunge alle parole e all’azione, è sempre scritto soltanto che Pietro dice, fa.
Probabilmente, con ciò Luca vuole evidenziare il ruolo speciale di Pietro nella comunità del tempo, ma
nel nucleo della narrazione c’è ciò che è comune. E oggi non è diverso.
Quando, durante il culto, ordineremo Heidi Lengler pastora della CELI, la eleveremo un po’ rispetto al
gruppo dei cristiani, della comunità; ma, in ultima analisi, come ogni pastora e pastore, ella resta una tra
tutti. Non soltanto lei; non soltanto i pastori che hanno il compito di condividere il nostro tesoro, la nostra
fede; ma tutti. Noi tutti siamo sollecitati a parlare della speranza che è dentro di noi. Noi tutti siamo
sollecitati ad aiutare, se una persona o se molte persone hanno bisogno. Noi tutti siamo sollecitati a
intervenire fattivamente, a dare sostegno, lì dove il nostro impegno è richiesto e necessario. Non la pastora
perché ha studiato né il pastore perché viene pagato per farlo: no, noi tutti. Noi siamo comunità; noi
siamo, insieme, qui per testimoniare all’esterno, per agire, per amare, per passare qualcosa del tesoro che
abbiamo. Quando ci riuniamo, cantiamo e preghiamo; quando abbiamo comunione tra noi; quando
ridiamo e ci vogliamo bene, allora le persone si siedono sui gradini delle nostre chiese; allora, esse si
spingono a fare un passo vero le nostre case della comunità.
Vedere ed essere visti. Si tratta di guardare bene, di guardare attentamente, di guardare dietro la facciata.
Sia riguardo agli altri sia riguardo a noi stessi. Di che cosa ha bisogno la persona che ho di fronte? Che
cosa cerca davvero? Che cosa le manca, in effetti? Che cosa la spinge ad andare instancabilmente in
avanti? Che cosa l’opprime? Che cosa le pesa nell’intimo? Sì, magari anche: che cosa la ostacola nella
vita, la paralizza, al punto che non può vivere contenta e felice? E poi: che cosa ho da dare, io? Che cosa
possiamo condividere con questa persona, uomo o donna che sia?
Di oro e di argento non ne abbiamo, dice Pietro. È vero anche per noi: per me personalmente, per la
comunità di Roma, per la CELI in Italia? Anche qui bisogna guardare attentamente, soppesare, decidere.
Possiamo ancora pagare pastori e pastore, mantenere edifici, organizzare eventi. Quindi, sì. Ma gli edifici
hanno bisogno di manutenzione; prestiti e prestazioni vanno pagati; le fatture vanno saldate. Quindi, no.
Resta da guardare attentamente, soppesare e poi decidere. Date a Cesare quel che è di Cesare, ma
soprattutto date a Dio quel che è di Dio! Qui risiede il nostro vero tesoro. In questo consiste il nostro vero
patrimonio. Abbiamo riconosciuto di essere persone amate da Dio. Sentiamo quanto renda lieti e leggeri
che qualcuno perdoni i nostri peccati. Sperimentiamo che cosa significhi confidare insieme in una causa.
Scopriamo quanto possa essere utile un parametro come quello della Parola di Dio, in un mondo che offre
ogni giorno più possibilità e richieste di comportamento.
Torniamo ai gradini del Tempio. Pietro traduce in azione le sue parole, la sua convinzione. Afferra la
mano del paralitico e lo mette in piedi. Wow, penso: che convinzione! Lo fa perché è convinto che le
gambe, adesso, lo sostengano e che Dio, quindi, cambierà qualcosa nello stato dell’altro. Al tempo stesso,
arretro spaventato, perché, nella mia testa, si accende una spia d’allarme. Non è, questo, un atto invadente?
Posso avvicinarmi, non richiesto, all’altro e in qualche modo costringerlo ad essere felice? So già qual è
la cosa giusta per te e quindi avvio le cose. No, penso, non posso, non possiamo. Qui, per me, c’è un
limite. Può darsi che sia un’idea moderna, ma è nell’età Moderna che viviamo. Passare all’azione così,
senza chiedere, non è cosa che possiamo fare. Non conosciamo meglio dell’altro la sua condizione. Non
sappiamo di che cosa abbia davvero bisogno. Tendere la mano, possiamo farlo, anzi, dobbiamo farlo;
afferrarla spetta all’altro. Se lo fa, allora posso tirare e aiutare quell’uomo, quella donna a mettersi in piedi.
Nel corso della sua stpria, il cristianesimo ha oltrepassato questo limite sottile in molti punti, agendo in
modo violento e invadente. Non possiamo più agire in questo modo, né ora né in futuro e dobbiamo porci
in modo più discreto.
Dopo di ciò, c’è soltanto pura gioia. Per quanto l’intervento di Pietro mi dia da pensare, è meraviglioso
leggere e vedere che cosa ne scaturisce. Il paralitico fa salti di gioia: che liberazione, che gioia di vivere!,
che peso gli è stato tolto! E quanto è contagioso, questo, per quelli intorno a lui! Tutti quelli che c’erano,
che lo hanno visto, si rallegrano con lui e vanno nel Tempio e lodano e glorificano Dio.
Mi domando: come possiamo far sì che anche nelle nostre comunità accadano cose simili? Mi viene in
mente la vecchia frase di Nietzsche: “i cristiani devono avere apparire più redenti”. Come si può fare che,
adesso, voi, qui, vi alziate e danziate? Posso fare qualcosa, io? O può farlo Dio? Oppure può farlo la
circostanza dell’ordnazione a pastora di Heidi? Se non non avviene, allora oggi non succede. Del resto,
nemmeno a Gerusalemme hanno danzato sempre.
Ma vorrei mantenere questa visione, questa immagine guida. La comunità cristiana dovrebbe essere fatta
in modo tale da attirare le persone e da farle sedere sui suoi gradini. Noi membri della comunità dobbiamo
vedere queste persone che stanno lì e guardare bene per capire che cosa cerchino, che cosa gli manchi. Sì,
e poi possiamo tendergli la mano, parlargli di ciò che ci sostiene e ci tiene in movimento. Perché andiamo
in questa chiesa e chi è il nostro Dio. E allora, quando uno ci afferrerà la mano ed entrerà in chiesa con
noi, la gioia sarà grande, per lui e per noi. Perché la sua vita è stata trasformata dalle fondamenta. Perché
ha trovato ciò che cercava. Perché è stato trovato da colui che è sempre in cerca di noi, sue pecore
smarrite. E così ciascuno di loro porta qualcosa nella nostra comunione. Ora, considero con gioia colui
che prima, fuori, sulle scale, in effetti non ho degnato di attenzione e da cui volevo solo allontanarmi in
fretta. Vedo la sua gioia e sento la mia gioia per questo. E magari danziamo, perfino.
Amen.