Isaia 2,1–5
“Chi ha delle visioni dovrebbe andare dal medico”: forse conoscete questo detto, cara Comunità. Sarebbe di Helmut Schmidt, pronunciato durante la campagna elettorale del 1980. Era un tipo ruvido della Germania del Nord, che non teneva in gran considerazione sogni ambiziosi e che guardava con scetticismo a fantasie di scarso fondamento riguardo ciò che si poteva fare. Schmidt era un pragmatico che intendeva la politica soprattutto come impegno per fare ciò che era effettivamente realizzabile. Ciò gli consentì di avere successo in molti casi; inoltre, aveva una chiara agenda etica.
che non dava molto valore a sogni ambiziosi e fantasie con poco fondamento, mostrando una certa diffidenza verso ciò che non sembrava realizzabile. Ancora molto tempo dopo la fine della sua carriera politica, commentò la situazione mondiale da elder statesman, da politico esperto e rispettato.
Le sue parole sulle visioni come sintomo di animo malato irritarono molti, allora; anche me. Nel movimento pacifista dei primi anni Ottanta, tanto in Germania Est quanto in Germania Ovest si puntava proprio sul contrario: sullo sviluppo di visioni per far diventare pacifico, e bandire il rischio atomico, un mondo pieno di armamenti, in cui le superpotenze, USA e URSS, erano armate fino ai denti, si contrapponevano e minacciavano l’uso di armi atomiche per colpire l’altro. E Helmut Schmidt si rese impopolare in taluni ambienti quando, da Cancelliere, difese con fermezza la doppia deliberazione NATO “riarmare e negoziare”.
Il nostro testo per la predicazione della domenica odierna contrasta col motto arguto con cui Schmidt spazzava via le visioni. Questo testo consiste in una visione del profeta Isaia. Una visione di pace. Recita:
1 Parola che Isaia, figlio di Amots, ebbe in visione, riguardo a Giuda e a Gerusalemme.
2 Avverrà, negli ultimi giorni, / che il monte della casa del SIGNORE / si ergerà sulla vetta dei monti, / e sarà elevato al di sopra dei colli; / e tutte le nazioni affluiranno a esso.
3 Molti popoli vi accorreranno, e diranno: / «Venite, saliamo al monte del SIGNORE, / alla casa del Dio di Giacobbe; / egli ci insegnerà le sue vie, / e noi cammineremo per i suoi sentieri». / Da Sion, infatti, uscirà la legge, / e da Gerusalemme la parola del SIGNORE.
4 Egli giudicherà tra nazione e nazione / e sarà l’arbitro fra molti popoli; / ed essi trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro, / e le loro lance, in falci; / una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, / e non impareranno più la guerra.
5 Casa di Giacobbe, / venite, e camminiamo alla luce del SIGNORE!
Non sappiamo che cosa abbia detto Helmut Schmidt su una tale visione. Ma, in ogni caso, questo testo rivestì un ruolo importante, nel movimento pacifista degli anni ’80 del secolo scorso; soprattutto nella DDR. La visione delle spade convertite in vomeri divenne un simbolo riportato su manifesti, toppe e adesivi, che si diffuse rapidamente. Il motivo era stato frutto di scelta raffinata. L’Unione Sovietica, nel 1959, aveva donato una scultura all’ONU che rappresentava una spada che veniva trasformata in vomere. Si trova nel parco dell’edificio principale dell’ONU, a New York. Il modello della scultura è esposto a Mosca, nella Galleria di Arte Moderna Tretjakov. Le autorità della DDR non potevano considerarla semplicemente propaganda occidentale e proibirla. Ma erano visibilmente irritati, perché l’impegno in favore della pace e del disarmo era contro la ragion di stato, secondo cui il riarmo sovietico non poteva essere equiparato a quello statunitense. Infine i simboli “Schwerter zu Pflugscharen“, “Spade in vomeri“, che erano molto diffusi nel movimento pacifista delle Chiese, soprattutto di quelle evangeliche, furono vietati e portarli in pubblico era considerato atteggiamento antistatale.
Questo excursus nella storia degli effetti di un testo biblico, storia che non è poi così lontana nel tempo, mostra che le visioni, proprio visioni politiche molto concrete, possiedono la forza di trasformare le condizioni e che sono necessarie per non affondare nel pragmatismo degli affari quotidiani. Helmut Schmidt di certo non avrebbe avuto da ridire su questo. Con le sue parole taglienti, voleva piuttosto che non si abbandonasse l’arduo compito di tradurre in pratica ciò che è necessario per rifugiarsi in castelli in aria che, pur apparendo belli, non avevano molto a che fare con la realtà.
Ma le visioni non sono in alcun modo sempre fuga dalla realtà nel mondo delle fantasticherie. Invece, possono essere la descrizione di un mondo più dignitoso, più vivibile e di uno stato dell’essere umano e della Natura così come creati e voluti da Dio. Queste non sono fantasticherie senza senso, ma costituiscono un’idea concreta cui possiamo orientare il nostro pensiero e la nostra azione.
Proprio in situazioni in cui il mondo è lacerato da guerra, ingiustizia e violenza cieca; in cui le catastrofi s’intrecciano o addirittura si sovrappongono, la visione del buon creato di Dio e dell’essere umano come immagine di Dio è necessaria e d’importanza vitale. Il testo del profeta Isaia, che si trova quasi identico anche nel profeta Michea, è una tale visione di uno stato di pace alla fine dei tempi, in mezzo a un mondo lacerato dalla guerra. Perciò è di grande attualità; si può dire che sia atemporale; si può collocare in quasi ogni fase della storia umana. Il contenuto centrale di ciò che Isaia e Michea annunciano al popolo d’Israele è che il Dio d’Israele, che è oggetto di preghiera sul monte Sion, a Gerusalemme, si rivelerà essere il Signore del mondo intero. Insegnerà, impartirà la sua istruzione, giudicherà e lo farà riguardo a tutti i popoli. Il suo ordinamento giusto si attuerà e non ci sarà più guerra. Questa visione del profeta d’Israele non è in alcun modo un grido di trionfo. È, piuttosto, speranza e certezza che sono poste davanti agli occhi del popolo in una situazione difficile. Israele, il popolo ebraico, nella sua storia ha fin da allora conosciuto oppressione, deportazione, pericolo. Fino al giorno d’oggi, gli ebrei vengono perseguitati, discriminati e offesi. Le istituzioni ebraiche sono poste sotto la protezione della polizia; il rifiuto della vita ebraica si nota di nuovo in molteplici forme, anche dopo l’Olocausto e l’annientamento di così tante vite ebraiche.
Ma i profeti d’Israele e molti altri ebrei succedutigli non si sono fatti distogliere dallo sperare in Dio e dal confidare in lui. Hanno sviluppato grandi visioni della giustizia di Dio, che si attua in terra e che annienta i nemici. Erano certi che Dio si sarebbe dimostrato più forte del male e che la pace sia più grande di guerra e odio; che, alla fine, prevarranno giustizia e pace.
Che fiducia impressionante! Proprio quando non sembra che ci sarà pace e che il dolore avrà fine, proprio allora lo sguardo va orientato in avanti, va riposta speranza in Dio e va dipinto un grande quadro di come sarà il regno di Dio, dove giustizia e pace si baceranno. I testi biblici tengono sempre alta questa speranza; mettono davanti agli occhi del popolo d’Israele che Dio è fedele; che le sue promesse restano e che non lascerà andare in rovina il suo popolo.
Quanto suona consolante, pieno di speranza, nei nostri tempi! Talvolta, è dura ascoltare le notizie: cronache di guerra dall’Ucraina e da Gaza; le nuove esternazioni del presidente USA; il cambiamento climatico, che ci mette tutti in pericolo. Non abbiamo poi da molto tempo alle spalle il periodo del coronavirus e aneliamo ad avere, finalmente, buone notizie in apertura che risollevino l’animo. Siamo stanchi di crisi; ne abbiamo abbastanza degli ultimi anni; aspiriamo a che, finalmente, i tempi si facciano più tranquilli e che le notizie positive possano avere il sopravvento.
Ma non giova. Non possiamo, semplicemente, chiudere gli occhi e far finta che tutto sia meno grave o che non ci riguardi. Questo se lo sono detti anche i profeti d’Israele. Non hanno messo la testa nella sabbia né si sono limitati a chiudere gli occhi. Invece, hanno cercato la speranza là da dove soltanto può venire l’aiuto: da Dio, che ha scelto Israele, guidandolo attraverso la Storia, custodendolo di continuo; da Dio, che è fedele e le cui promesse restano valide.
Questa fiducia, questa certezza è ciò che fa parlare Isaia al popolo, in una situazione difficile. Israele era minacciato; la sua esistenza di stato autonomo era messa in discussione. Ma Isaia non perde il coraggio. Orienta lo sguardo in avanti, fino alla fine della Storia. Allora, i popoli ascolteranno l’istruzione di Dio e ci sarà pace. La visione del futuro di pace pone il presente sotto un’insegna nuova. Gli aggressori di questo mondo, che aggrediscono altri Paesi per sete di potere e di rivalsa, arrecando grande sofferenza a tante persone, possono trionfare, adesso. Ma noi confidiamo che questa Terra è stata creata da Dio e che egli abbia dato all’umanità istruzione per una vita riuscita. Questa fiducia ci infonde la forza, in dolore e lutto, di non perdere d’occhio la salvezza che Dio ha preparato per questo mondo. Naturalmente, questo vale in modo speciale per le persone che sono direttamente colpite da violenza e deportazione. Come potrebbero resistere, le persone in Ucraina o a Gaza, nelle loro condizioni apparentemente senza speranza, se non potessero avere la speranza che giustizia e pace, alla fine, si dimostreranno più forti? La visione che Isaia promette al suo popolo, dice proprio questo: l’ordinamento salvifico di Dio si attuerà in questo mondo. Tale visione, tale speranza è così importante perché rende certi che Dio non abbandoni questo mondo a se stesso. Che gli ordinamenti umani sono imperfetti, spesso ingiusti e unilaterali, ma non avranno l’ultima parola. Che questo mondo è e resta buon creato di Dio, anche se e proprio quando non sembra. Da questa promessa, il popolo ebraico ha attinto di continuo forza e fiducia, nel corso della sua storia. Da questa promessa possiamo attingere anche noi, se nella nostra vita si fa buio, siamo disperati e le condizioni sembrano dare poco adito alla speranza. La promessa d’Isaia ci fa tornare in mente che la potenza di Dio è più grande di quella umana. Ci fa essere certi che la giustizia vincerà il male.
Alla fine della sua visione, Isaia chiama a camminare nella luce del Signore. Non guarda solo al futuro, ma formula anche conseguenze per la vita nel qui e ora. Ciò collega il suo discorso ai due testi del Nuovo Testamento che abbiamo ascoltato come letture. Anche la Lettera agli Efesini chiama i suoi destinatari a vivere come figli della luce. Ciò che significa, lo spiega nella conclusione: bontà, giustizia e verità saranno i parametri della nostra vita. Questo suona ovvio, quasi scontato; ma sarebbe già un guadagno avere un tale atteggiamento. Se ci trattiamo a vicenda con bontà, rispetto e gentilezza, il mondo è subito un po’ più luminoso. La vita diventa più lieta e vivibile, quando abbiamo rispetto gli uni per gli altri, riguardo, se ci rispettiamo a vicenda. Se non cerchiamo il nostro vantaggio, ma ci sforziamo di ottenere condizioni giuste. Se il nostro parlare di veridicità è giusto e se noi facciamo sul serio con ciò che diciamo e promettiamo.
Anche il testo del Vangelo di Matteo parla di luce. Qui, ai discepoli di Gesù viene detto addirittura che essi sono la luce del mondo e che devono far risplendere questa luce nel mondo. Il buon agire in nome di Dio porterà anche gli altri a lodare Dio. Come dice anche Isaia, i popoli verranno a Sion e riconosceranno la potenza di Dio.
La luce che dobbiamo essere; il buon agire in nome di Dio: fa apparire già ora la grande visione del buon ordinamento di Dio per questo mondo. E ci fa percepire che questa visione non è una chimera. Già ora, possiamo far diventare realtà qualcosa dell’amore di Dio e della sua attenzione amorevole per noi esseri umani. Spade che diventano vomeri: un simbolo di pace nel mondo; un simbolo che ha ispirato le persone ai tempi d’Isaia, ai tempi di Gesù e ai tempi del movimento pacifista e che può motivare anche noi, oggi, a vivere una vita nella luce della promessa di Dio di un mondo pacifico e giusto.
Amen.Isaia 2,1–5
“Chi ha delle visioni dovrebbe andare dal medico”: forse conoscete questo detto, cara Comunità. Sarebbe di Helmut Schmidt, pronunciato durante la campagna elettorale del 1980. Era un tipo ruvido della Germania del Nord, che non teneva in gran considerazione sogni ambiziosi e che guardava con scetticismo a fantasie di scarso fondamento riguardo ciò che si poteva fare. Schmidt era un pragmatico che intendeva la politica soprattutto come impegno per fare ciò che era effettivamente realizzabile. Ciò gli consentì di avere successo in molti casi; inoltre, aveva una chiara agenda etica.
che non dava molto valore a sogni ambiziosi e fantasie con poco fondamento, mostrando una certa diffidenza verso ciò che non sembrava realizzabile. Ancora molto tempo dopo la fine della sua carriera politica, commentò la situazione mondiale da elder statesman, da politico esperto e rispettato.
Le sue parole sulle visioni come sintomo di animo malato irritarono molti, allora; anche me. Nel movimento pacifista dei primi anni Ottanta, tanto in Germania Est quanto in Germania Ovest si puntava proprio sul contrario: sullo sviluppo di visioni per far diventare pacifico, e bandire il rischio atomico, un mondo pieno di armamenti, in cui le superpotenze, USA e URSS, erano armate fino ai denti, si contrapponevano e minacciavano l’uso di armi atomiche per colpire l’altro. E Helmut Schmidt si rese impopolare in taluni ambienti quando, da Cancelliere, difese con fermezza la doppia deliberazione NATO “riarmare e negoziare”.
Il nostro testo per la predicazione della domenica odierna contrasta col motto arguto con cui Schmidt spazzava via le visioni. Questo testo consiste in una visione del profeta Isaia. Una visione di pace. Recita:
1 Parola che Isaia, figlio di Amots, ebbe in visione, riguardo a Giuda e a Gerusalemme.
2 Avverrà, negli ultimi giorni, / che il monte della casa del SIGNORE / si ergerà sulla vetta dei monti, / e sarà elevato al di sopra dei colli; / e tutte le nazioni affluiranno a esso.
3 Molti popoli vi accorreranno, e diranno: / «Venite, saliamo al monte del SIGNORE, / alla casa del Dio di Giacobbe; / egli ci insegnerà le sue vie, / e noi cammineremo per i suoi sentieri». / Da Sion, infatti, uscirà la legge, / e da Gerusalemme la parola del SIGNORE.
4 Egli giudicherà tra nazione e nazione / e sarà l’arbitro fra molti popoli; / ed essi trasformeranno le loro spade in vomeri d’aratro, / e le loro lance, in falci; / una nazione non alzerà più la spada contro un’altra, / e non impareranno più la guerra.
5 Casa di Giacobbe, / venite, e camminiamo alla luce del SIGNORE!
Non sappiamo che cosa abbia detto Helmut Schmidt su una tale visione. Ma, in ogni caso, questo testo rivestì un ruolo importante, nel movimento pacifista degli anni ’80 del secolo scorso; soprattutto nella DDR. La visione delle spade convertite in vomeri divenne un simbolo riportato su manifesti, toppe e adesivi, che si diffuse rapidamente. Il motivo era stato frutto di scelta raffinata. L’Unione Sovietica, nel 1959, aveva donato una scultura all’ONU che rappresentava una spada che veniva trasformata in vomere. Si trova nel parco dell’edificio principale dell’ONU, a New York. Il modello della scultura è esposto a Mosca, nella Galleria di Arte Moderna Tretjakov. Le autorità della DDR non potevano considerarla semplicemente propaganda occidentale e proibirla. Ma erano visibilmente irritati, perché l’impegno in favore della pace e del disarmo era contro la ragion di stato, secondo cui il riarmo sovietico non poteva essere equiparato a quello statunitense. Infine i simboli “Schwerter zu Pflugscharen“, “Spade in vomeri“, che erano molto diffusi nel movimento pacifista delle Chiese, soprattutto di quelle evangeliche, furono vietati e portarli in pubblico era considerato atteggiamento antistatale.
Questo excursus nella storia degli effetti di un testo biblico, storia che non è poi così lontana nel tempo, mostra che le visioni, proprio visioni politiche molto concrete, possiedono la forza di trasformare le condizioni e che sono necessarie per non affondare nel pragmatismo degli affari quotidiani. Helmut Schmidt di certo non avrebbe avuto da ridire su questo. Con le sue parole taglienti, voleva piuttosto che non si abbandonasse l’arduo compito di tradurre in pratica ciò che è necessario per rifugiarsi in castelli in aria che, pur apparendo belli, non avevano molto a che fare con la realtà.
Ma le visioni non sono in alcun modo sempre fuga dalla realtà nel mondo delle fantasticherie. Invece, possono essere la descrizione di un mondo più dignitoso, più vivibile e di uno stato dell’essere umano e della Natura così come creati e voluti da Dio. Queste non sono fantasticherie senza senso, ma costituiscono un’idea concreta cui possiamo orientare il nostro pensiero e la nostra azione.
Proprio in situazioni in cui il mondo è lacerato da guerra, ingiustizia e violenza cieca; in cui le catastrofi s’intrecciano o addirittura si sovrappongono, la visione del buon creato di Dio e dell’essere umano come immagine di Dio è necessaria e d’importanza vitale. Il testo del profeta Isaia, che si trova quasi identico anche nel profeta Michea, è una tale visione di uno stato di pace alla fine dei tempi, in mezzo a un mondo lacerato dalla guerra. Perciò è di grande attualità; si può dire che sia atemporale; si può collocare in quasi ogni fase della storia umana. Il contenuto centrale di ciò che Isaia e Michea annunciano al popolo d’Israele è che il Dio d’Israele, che è oggetto di preghiera sul monte Sion, a Gerusalemme, si rivelerà essere il Signore del mondo intero. Insegnerà, impartirà la sua istruzione, giudicherà e lo farà riguardo a tutti i popoli. Il suo ordinamento giusto si attuerà e non ci sarà più guerra. Questa visione del profeta d’Israele non è in alcun modo un grido di trionfo. È, piuttosto, speranza e certezza che sono poste davanti agli occhi del popolo in una situazione difficile. Israele, il popolo ebraico, nella sua storia ha fin da allora conosciuto oppressione, deportazione, pericolo. Fino al giorno d’oggi, gli ebrei vengono perseguitati, discriminati e offesi. Le istituzioni ebraiche sono poste sotto la protezione della polizia; il rifiuto della vita ebraica si nota di nuovo in molteplici forme, anche dopo l’Olocausto e l’annientamento di così tante vite ebraiche.
Ma i profeti d’Israele e molti altri ebrei succedutigli non si sono fatti distogliere dallo sperare in Dio e dal confidare in lui. Hanno sviluppato grandi visioni della giustizia di Dio, che si attua in terra e che annienta i nemici. Erano certi che Dio si sarebbe dimostrato più forte del male e che la pace sia più grande di guerra e odio; che, alla fine, prevarranno giustizia e pace.
Che fiducia impressionante! Proprio quando non sembra che ci sarà pace e che il dolore avrà fine, proprio allora lo sguardo va orientato in avanti, va riposta speranza in Dio e va dipinto un grande quadro di come sarà il regno di Dio, dove giustizia e pace si baceranno. I testi biblici tengono sempre alta questa speranza; mettono davanti agli occhi del popolo d’Israele che Dio è fedele; che le sue promesse restano e che non lascerà andare in rovina il suo popolo.
Quanto suona consolante, pieno di speranza, nei nostri tempi! Talvolta, è dura ascoltare le notizie: cronache di guerra dall’Ucraina e da Gaza; le nuove esternazioni del presidente USA; il cambiamento climatico, che ci mette tutti in pericolo. Non abbiamo poi da molto tempo alle spalle il periodo del coronavirus e aneliamo ad avere, finalmente, buone notizie in apertura che risollevino l’animo. Siamo stanchi di crisi; ne abbiamo abbastanza degli ultimi anni; aspiriamo a che, finalmente, i tempi si facciano più tranquilli e che le notizie positive possano avere il sopravvento.
Ma non giova. Non possiamo, semplicemente, chiudere gli occhi e far finta che tutto sia meno grave o che non ci riguardi. Questo se lo sono detti anche i profeti d’Israele. Non hanno messo la testa nella sabbia né si sono limitati a chiudere gli occhi. Invece, hanno cercato la speranza là da dove soltanto può venire l’aiuto: da Dio, che ha scelto Israele, guidandolo attraverso la Storia, custodendolo di continuo; da Dio, che è fedele e le cui promesse restano valide.
Questa fiducia, questa certezza è ciò che fa parlare Isaia al popolo, in una situazione difficile. Israele era minacciato; la sua esistenza di stato autonomo era messa in discussione. Ma Isaia non perde il coraggio. Orienta lo sguardo in avanti, fino alla fine della Storia. Allora, i popoli ascolteranno l’istruzione di Dio e ci sarà pace. La visione del futuro di pace pone il presente sotto un’insegna nuova. Gli aggressori di questo mondo, che aggrediscono altri Paesi per sete di potere e di rivalsa, arrecando grande sofferenza a tante persone, possono trionfare, adesso. Ma noi confidiamo che questa Terra è stata creata da Dio e che egli abbia dato all’umanità istruzione per una vita riuscita. Questa fiducia ci infonde la forza, in dolore e lutto, di non perdere d’occhio la salvezza che Dio ha preparato per questo mondo. Naturalmente, questo vale in modo speciale per le persone che sono direttamente colpite da violenza e deportazione. Come potrebbero resistere, le persone in Ucraina o a Gaza, nelle loro condizioni apparentemente senza speranza, se non potessero avere la speranza che giustizia e pace, alla fine, si dimostreranno più forti? La visione che Isaia promette al suo popolo, dice proprio questo: l’ordinamento salvifico di Dio si attuerà in questo mondo. Tale visione, tale speranza è così importante perché rende certi che Dio non abbandoni questo mondo a se stesso. Che gli ordinamenti umani sono imperfetti, spesso ingiusti e unilaterali, ma non avranno l’ultima parola. Che questo mondo è e resta buon creato di Dio, anche se e proprio quando non sembra. Da questa promessa, il popolo ebraico ha attinto di continuo forza e fiducia, nel corso della sua storia. Da questa promessa possiamo attingere anche noi, se nella nostra vita si fa buio, siamo disperati e le condizioni sembrano dare poco adito alla speranza. La promessa d’Isaia ci fa tornare in mente che la potenza di Dio è più grande di quella umana. Ci fa essere certi che la giustizia vincerà il male.
Alla fine della sua visione, Isaia chiama a camminare nella luce del Signore. Non guarda solo al futuro, ma formula anche conseguenze per la vita nel qui e ora. Ciò collega il suo discorso ai due testi del Nuovo Testamento che abbiamo ascoltato come letture. Anche la Lettera agli Efesini chiama i suoi destinatari a vivere come figli della luce. Ciò che significa, lo spiega nella conclusione: bontà, giustizia e verità saranno i parametri della nostra vita. Questo suona ovvio, quasi scontato; ma sarebbe già un guadagno avere un tale atteggiamento. Se ci trattiamo a vicenda con bontà, rispetto e gentilezza, il mondo è subito un po’ più luminoso. La vita diventa più lieta e vivibile, quando abbiamo rispetto gli uni per gli altri, riguardo, se ci rispettiamo a vicenda. Se non cerchiamo il nostro vantaggio, ma ci sforziamo di ottenere condizioni giuste. Se il nostro parlare di veridicità è giusto e se noi facciamo sul serio con ciò che diciamo e promettiamo.
Anche il testo del Vangelo di Matteo parla di luce. Qui, ai discepoli di Gesù viene detto addirittura che essi sono la luce del mondo e che devono far risplendere questa luce nel mondo. Il buon agire in nome di Dio porterà anche gli altri a lodare Dio. Come dice anche Isaia, i popoli verranno a Sion e riconosceranno la potenza di Dio.
La luce che dobbiamo essere; il buon agire in nome di Dio: fa apparire già ora la grande visione del buon ordinamento di Dio per questo mondo. E ci fa percepire che questa visione non è una chimera. Già ora, possiamo far diventare realtà qualcosa dell’amore di Dio e della sua attenzione amorevole per noi esseri umani. Spade che diventano vomeri: un simbolo di pace nel mondo; un simbolo che ha ispirato le persone ai tempi d’Isaia, ai tempi di Gesù e ai tempi del movimento pacifista e che può motivare anche noi, oggi, a vivere una vita nella luce della promessa di Dio di un mondo pacifico e giusto.
Amen.