Luca 6, 36-42

 

37 Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato. 38 Date, e vi sarà dato; vi sarà versata in seno buona misura, pigiata, scossa, traboccante; perché con la misura con cui misurate, sarà rimisurato a voi».
39 Poi disse loro anche una parabola: «Può un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso?
40 Un discepolo non è più grande del maestro; ma ogni discepolo ben preparato sarà come il suo maestro.
41 Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? 42 Come puoi dire a tuo fratello: “Fratello, lascia che io tolga la pagliuzza che hai nell’occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dall’occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello.

 

 

Cara Comunità,

è tempo di mangiare leggero. Luglio ci tiene in pugno con l’afa. La vita dev’essere adattata. Le scuole sono chiuse da un bel po’. Anche qui in chiesa siamo di meno. Molti hanno lasciato la metropoli. Si deve trovare un qualche modo di adattarsi all’afa.

È tempo di mangiare leggero. Non so come stiano le cose tra voi e il cibo. Con quest’afa, non ho voglia di pasta fumante o di pizza calda. Ho voglia di cose fredde, leggere; di verdure e di frutta.

È tempo di mangiare leggero. L’afa richiede adattamenti.  Si deve rallentare il ritmo della camminata. Anche per il nostro culto, adesso, sarebbe bello avere un tema estivo. Ma il nostro Vangelo di oggi, base della predica, non è un cibo leggero. Queste parole di Gesù sono cariche di contenuto. Qui si trovano parole di peso e bocconi di ardua digestione:

misericordia, perdono, giudicare, che si aggiungono a condanna, critica e autocritica. Gesù, anche oggi, pretende qualcosa da noi.

Mi sarebbe piaciuto, oggi, presentarvi un messaggio leggero, nello spirito dell’estate, che ci avesse un po’ rinfrescato e rallegrato; ma la Parola di Dio non è un effetto collaterale della nostra vita; è, invece, un messaggio che ci colpisce e sfida, anche a metà luglio.

 

Oggi, dobbiamo spiegare il contesto di pretese verso noi stessi e verso gli altri. Dobbiamo interrogarci, oggi, su come rapportarci agli errori altrui e agli errori che noi stessi commettiamo.

Qui, ci colpisce l’accusa di essere ipocriti. Bisogna prima lasciar scorrere sulla lingua queste parole, assaporandole. E, alla fine, ne risulta ciò che afferma il nostro versetto domenicale: ognuno porti il peso dell’altro, così adempirete alla legge di Cristo.

 

Questo non è certo cibo leggero, per il luglio romano.

Tutto questo non sono temi leggeri che si considerino facilmente, come leggere un bel libro in spiaggia o una conversazione piacevole, all’ombra, davanti a una bibita ghiacciata.

Se, quindi, il tema di oggi ci richiede pensieri profondi e quindi un vero lavoro, allora dobbiamo fare come si fa a Roma, quando, a luglio, bisogna lavorare coscienziosamente.

Si accende l’aria condizionata, facendo così spazio a pensieri in qualce modo chiari.

 

Se si lavora al chiuso, l’aria condizionata ci aiuta spesso: in banche e uffici e, per fortuna, anche in sale operatorie. In questi casi,  l’aria condizionata è una cosa grande.

L’aria condizionata fu inventata a New York nel 1902 per deumidificare una tipografia. La carta da giornale si ondulava, con l’aria umida. Occorreva un rimedio. E così nacque il primo apparecchio per rinfrescare, di cui tutti oggi traggono vantaggio.

Ma non si tratta di affrontare la storia della tecnologia. Invece, l’idea di aria condizionata può aiutarci a riunire sotto un solo tetto le parole, ricche di contenuto, pronunciate da Gesù. Voglio mostrarvi perché.

L’impianto di aria condizionata può esssere impostato in modi molto differenti.

Se avete l’aria condizionata a casa, in ufficio, in auto, che tipi siete?

Siete di quelli che la fanno andare di continuo e che hanno impostato il massimo raffreddamento?

Oppure siete di quelli che tendono al risparmio e che la accendono solo per un po’, scegliendo una temperatura moderata per risparmiare energia e non gravare sull’ambiente?

Siete il tipo massimalista, che in auto ha -10 gradi percepiti oppure siete il tipo moderato, che fa rinfrescare solo un po’, tanto per rendere la temperatura sopportabile?

Conoscete tutti supermercati in cui, appena ci si mette piede, si sente il gelo.

Ma conoscete anche i rischi legati agli sbalzi di temperatura estremi che, anche nel cuore dell’estate, causano malattie da raffreddamento.

Una volta, in Sicilia, a luglio, in treno da Catania a Palermo l’aria condizionata mi causò un bel torcicollo.

I climatizzatori ci rendono la temperatura più sopportabile. Ma, con i loro flussi d’aria calda, riscaldano intorno e rendono la città molto più calda. E, col consumo di elettricità che richiedono, contribuiscono a peggiorare il cambiamento climatico.

Ora, io qui non voglio giudicare le vostre abitudini personali; nel Vangelo di oggi è pur detto: non giudicate, se non volete essere giudicati. Ma vorrei presentarvi una riflessione.

Nel caso dei climatizzatori, come pure in tante altre cose, ci vuole la giusta misura.

E come appare la giusta misura nella fede è proprio ciò che oggi vogliamo spiegare!

 

I

Anzitutto, c’è la misura errata. Le persone agiscono “fuori misura”. Le persone posso agire “senza misura”. Questo, talvolta, interessa i consumi. Può interessare l’uso dei climatizzatori, se sono sempre in funzione. Ma può interessare anche le parole che rivolgiamo agli altri. Anche qui le persone possono perdere la misura. Le parole possono essere fuori misura e, quindi, inappropriate. Una critica può essere formulata in modo eccessivamente aspro. Anche la lode può essere espressa in modo così esagerato da non poter più essere presa sul serio.

La giusta misura non è solo risultato della buona educazione. La misura delle nostre parole è sempre specchio della valutazione che diamo di noi stessi.

Il problema delle parole senza misura non è solo l’impertinenza, ma è l’arroganza superba che vi è connessa.

Siamo in condizione di giudicare gli altri? Siamo nella posizione di indicare agli altri i loro errori?

In tutta la letteratura mondiale, non ci sono parole che pongano tale questione in modo più pregnante di quel che fanno le parole di Gesù:

 

“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? Come puoi dire a tuo fratello: “Fratello, lascia che io tolga la pagliuzza che hai nell’occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dall’occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello.”

Prima di giudicare o di parlare senza misura, applica quella misura a te stesso!

Tu potresti corrispondere alle pretese che fai gli altri?

Sei tu senza macchia, non soggetto a critiche, privo di errori?

Oppure Gesù, con queste parole che smascherano, ci chiama a una maggiore modestia e all’autocritica? Siamo tutti peccatori e privi del vanto che dovremmo avere davanti a Dio, dice Paolo (Rm 3, 23). Il discorso cristiano sul peccato non è un giochino patologico di teologi malvagi per tenere le persone sottomesse.

Il discorso cristiano sul peccato può rendere modeste le persone: non dimenticare che anche tu hai i tuoi errori. Non dimenticare che noi tutti dobbiamo lottare con i nostri limiti e debolezze!

La coscienza cristiana dei propri errori può evitarci di elevarci sugli altri sul piano morale.

Sì, la coscienza cristiana dei nostri errori personali può aiutarci a trovare la giusta misura, quando critichiamo gli altri.

Quando, nel corso del culto, prima della Santa Cena riconosciamo i nostri peccati, questo non è un esercizio di penitenza antiquato. Così facendo, non solo ci riconciliamo con Dio, ma siamo anche consapevoli che ognuno di noi, uomo o donna, ha i propri errori. Non c’è nessuno che possa elevarsi al di sopra degli altri. Assenza di misura esclusa!

 

II

Se siamo autocritici e modesti, allora sembra che ci avviciniamo alla giusta misura. E con ciò siamo giunti al secondo punto: la giusta misura. Si è già fatto molto, se applichiamo a tutti, anche a noi stessi, la medesima misura. Non possiamo essere generosi con noi stessi e critici verso gli altri. Non possiamo, per rimanere nella metafora, far funzionare il nostro climatizzatore e lamentarci perché il vicino lo fa funzionare tutta la notte, disturbandoci. Tutti gli individui devono corrispondere ai medesimi criteri. Tutti i cittadini di uno stato democratico hanno i medesimi diritti e doveri.

La legge uguale per tutti. La medesima misura per tutti. Se questo criterio fosse tradotto in pratica ovunque, sarebbe meraviglioso.

Sarebbe davvero già cosa misurata se noi tutti fossimo misurati con la medesima misura.

“Quel che tu fai a me, io lo faccio a te”: questa è la definizione umana di giusta misura nel rapporto con gli altri.

“Occhio per occhio, dente per dente” (Es 21, 23): questa è la famigerata definizione veterotestamentaria della giusta misura nelle punizioni.

Muove dalla medesima misura: se tu mi cavi un occhio, allora io posso cavarti un occhio. Se mi fai saltare un dente, allora io posso farti saltare un dente. Ma non più di un dente: la vendetta non può essere senza misura. C’è già molta limitazione in questo antico comandamento.

Ma oggi esso è simbolo di vendetta in forma dura, spietata.

E questo forse perché intuiamo che il puro risarcimento non è un perfetto mezzo di guarigione, perché sentiamo che la fredda applicazione della medesima misura non è adatta ad ogni caso.

Può una donna incinta ricevere la medesima misura di cure mediche di una donna non incinta?

Può essere preteso dall’uomo impedito nella deambulazione che faccia la medesima strada di un sano?

La medesima misura va applicata sempre ed esattamente a tutti?

“Quel che tu fai a me, io lo faccio a te”: è un’idea umana. Ma, appunto, solo umana, con tutti i suoi limiti.

 

III

Alla fine, dobbiamo guardare alla misura di Dio.

E questa misura, contro ogni morale umana, è oltremodo senza misura!

Dio vi darà “buona misura, pigiata, scossa, traboccante” (Lc 6, 38).

Dio ci dona tante cose, oltre misura. Dio non misura in modo matematico, ma, per usare l’immagine del contadino, dà talmente tanto grano che il recipiente per misurarlo, in cui il grano lo riempie, pressato e scosso, finisce col traboccare.

Non è una misura uguale. È una misura traboccante.

Dio non dà calcolando. Dio non divide secondo le statistiche.

Dio ci dà secondo il nostro abissale stato di necessità.

La grazia di Dio non si misura sul nostro diritto a qualcosa, ma sulla nostra perdutezza senza fondo.

Non è un frammento dell’amore di Dio che mi spetta, amore che egli ha ripartito esattamente per 8 miliardi di esseri umani, ma è l’amore intero, che è necessario per tirarmi su dalla perdutezza e giungere nella sua vicinanza.

La grazia di Dio non si misura in cifre, ma in necessità dei suoi figli.

E ogni singolo peccatore ha bisogno di grazia, infinitamente tanta.

Nel caso della grazia di Dio dobbiamo smettere di calcolare! (Questo ce l’ha insegnato la Riforma di Martin Lutero con la sua critica delle indulgenze).

 

Abbiamo a che fare con un Dio senza misura! Non dobbiamo mai dimenticarlo. Se costruiamo Dio in base a calcoli umani e di morale umana, allora troviamo un Dio dei filosofi, ma non troviamo mai il Dio di Abraamo, Isacco e Giacobbe. Così ha detto Blaise Pascal.

E il Dio d’Abraamo, Isacco e Giacobbe mi mostra, fin dall’inizio, anche mediante l’assenza di misura della sua misericordia. Nessuno di questi tre uomini avrebbe meritato la grazia di Dio. Nessuno di loro era senza grandi errori. La Bibbia non lo sottace. E per tutta la Bibbia è chiaro questo:

la misericordia di Dio è senza misura, ma la sua ira è limitata e misurata.

Dio fa il cammino con ognuno di voi, e lo fa col suo amore senza misura, traboccante, senza paragoni.

E lo fa anche con noi.

L’attenzione amorevole di Gesù per noi esseri umani perduti è così grande che non si può misurare.

Quando le persone dicono: “Non posso capire la morte di Gesù in croce”,  come si potrebbe misurare quest’amore immeritato, non prevedibile, senza misura? Forse lo intuisce un po’ una madre che continua ad accogliere tra le braccia il figlio, anche e le ha fatto tutto il male del mondo.

La bontà di Dio non solo esistente. La bontà di Dio è senza misura.

Ed è di questa assenza di misura che viviamo noi cristiani.

Da questa assenza di misura dovremmo farci guidare. Si dovrebbe percepire da noi quest’assenza di misura. Non perché facciamo andare di continuo i climatizzatori, né perché gettiamo il denaro intorno a noi, né perché ci lasciamo andare.

Questa sarebbe assenza di misura umana!

Si tratta di assenza di misura divina!

Ed essa ci fa stupire grati per il suo amore. Essa ci fa diventare piccolissimi di fronte alla grandezza del creato. Essa ci fa diventare modesti, perché sappiamo tutto quel che Dio ci ha già dato. Essa ci fa essere misericordiosi con i nostri consimili e benevoli verso tutte le creature.

Vivere con misura piena in mezzo all’assenza di misura di Dio:

è così che si potrebbe definire l’essere cristiani.

Sgravati del carico, perché i nostri criteri di misura non sono quelli definitivi con cui veniamo misurati.

Distesi verso gli altri, perché anch’essi vengono misurati da Dio.

Lieti e ottimisti, perché le possibilità di Dio con questo mondo non conoscono misura.

Questa giusta misura la troviamo solo all’interno dell’assenza di misura di Dio.

Amen.

IV Domenica dopo Trinitatis – Pastore Dr. Jonas