Atti 16, 23-34

In effetti, cara Comunità, il tema della domenica Cantate è la musica. In effetti, il tema è il canto. Il canto di noi cristiani; il canto della comunità cristiana; il canto nel culto. “Bis orat, qui cantat“, dicevano i nostri predecessori nella fede: “chi canta, prega due volte”. Ma oggi, probabilmente, siamo in pochi a domandarci che cosa significhi la musica nella nostra vita e qui al culto. No, forse ci domandiamo tutti se qui, magari, siamo nel posto sbagliato. La musica non si suona proprio in tutt’altro luogo? In un luogo in cui il colonnato di Bernini, come ha detto il nuovo papa nel suo primo discorso dopo l’elezione, simboleggiano le braccia della Chiesa, spalancate. E noi, qui, siamo seduti dietro le mura di questa chiesa guglielmina. A proposito: Leone XIV, come ho potuto sentire diverse volte, canta meravigliosamente. Lo farà anche ora. E dunque la musica si suona stamattina altrove? E i cristiani nella piazza dalle braccia spalancate con le loro migliaia di gole cantano forse molto più forte di noi, qui, che abbiamo qualche voce in meno? Sono forse nel luogo sbagliato, dove la musica non si suona o comunque non così forte né in modo così bello? Questa, cara Comunità, è la domanda della domenica odierna; non solo in questa chiesa, non solo in questa città.

La questione se siamo nel luogo sbagliato, dove la musica non è suonata, ci viene posta anzitutto, oggi, dal testo della predicazione; testo biblico su cui oggi si predica in tutte le chiese evangeliche tedesche. Perché è un testo che proviene dal luogo più sbagliato di tutti i luoghi sbagliati: dal carcere. Leggo il passo tratto dal capitolo 16 degli Atti degli Apostoli, versetti da 23 a 34. L’episodio narra della sorte dell’apostolo Paolo e del suo collaboratore Sila nella città di Filippi, nella Grecia settentrionale, durante il secondo grande viaggio di missione.

 

23 E, dopo aver dato loro molte vergate, li cacciarono in prigione, comandando al carceriere di sorvegliarli attentamente. 24 Ricevuto tale ordine, egli li rinchiuse nella parte più interna del carcere e mise dei ceppi ai loro piedi.

25 Verso la mezzanotte Paolo e Sila, pregando, cantavano inni a Dio; e i carcerati li ascoltavano. 26 A un tratto vi fu un gran terremoto, la prigione fu scossa dalle fondamenta; e in quell’istante tutte le porte si aprirono e le catene di tutti si spezzarono. 27 Il carceriere si svegliò e, vedute tutte le porte del carcere spalancate, sguainò la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. 28 Ma Paolo gli gridò ad alta voce: «Non farti del male, perché siamo tutti qui». 29 Il carceriere, chiesto un lume, balzò dentro e, tutto tremante, si gettò ai piedi di Paolo e di Sila; 30 poi li condusse fuori e disse: «Signori, che debbo fare per essere salvato?» 31 Ed essi risposero: «Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia». 32 Poi annunciarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua. 33 Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte, lavò le loro piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi. 34 Poi li fece salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola, e si rallegrava con tutta la sua famiglia, perché aveva creduto in Dio.

 

Cara Comunità, non è vero che è saltato agli occhi a tutti noi, subito, che in questa narrazione straordinariamente plastica degli Atti di Luca ci sono costantemente persone nel posto sbagliato? Paolo e Sila arrivano a Filippi, per parlare lì di Gesù di Nazareth come del Cristo di Dio e hanno molto successo. Ciò causa ad una donna pagana, che era evidentemente molto apprezzata per la sua presunta capacità di predire il futuro, la perdita di ogni attrattiva e suscita ira in coloro che, fino a quel momento, avevano tratto guadagno da questa forma di magia; su loro istigazione, Paolo e Sila vengono trascinati da una gran folla sulla piazza del mercato, davanti ai magistrati:

“I suoi padroni, vedendo che la speranza del loro guadagno era svanita, presero Paolo e Sila e li trascinarono sulla piazza davanti alle autorità; e, presentatili ai pretori, dissero: «Questi uomini, che sono Giudei, turbano la nostra città e predicano riti che a noi Romani non è lecito accettare né praticare». La folla insorse allora contro di loro; e i pretori, strappate loro le vesti, comandarono che fossero battuti con le verghe” (Atti 16, 19-22).

All’improvviso, il luogo chiamato Filippi, “colonia romana e la città più importante di quella regione della Macedonia”, come scrive Luca, è un luogo sbagliato. È proprio suolo più fertile per la missione cristiana, per la diffusione della fede cristiana, che è tanto importante anche per il nuovo papa e, all’improvvisto, il successo enorme dei cristiani disturba il guadagno durevole dei pagani; e subito questi reagiscono. La missione è sempre pericolosa per coloro che la svolgono; ma lo è in specie se è accompagnata da un comportamento che danneggia gli affari. Ed ecco che i missionari cristiani Paolo e Sila vengono trascinati davanti al giudice cittadino. E, all’improvviso, non sono più nel posto giusto, ma in quello sbagliato. La musica della missione cristiana che ha successo viene suonata da qualche altra parte. Ma non più a Filippi.

Ma le cose peggiorano. Denudati sulla piazza del mercato; battuti con verghe e gettati in prigione, nel luogo più sbagliato di tutti i luoghi sbagliati. A scuola, durante le lezioni di religione, una volta andammo in visita al carcere minorile di Berlino-Plötzensee, in cui le condizioni di vita erano e sono molto più umane che in una prigione romana. Eravamo seduti in cerchio, insieme con gli internati, nell’ufficio della pastora evangelica della prigione; fino ad oggi, ho i brividi, ripensando all’assenza di speranza degli internati che, all’epoca, erano poco più grandi di me. C’erano detenuti che, dopo il rilascio, avevano intenzione di fondare una piantagione di hashish in Marocco; sì, proprio in Marocco. E, benché fossi uno studente berlinese dalla scarsa esperienza, mi fu chiaro che questi piani fossero una strada che avrebbe portato dritto dalla prigione di nuovo in prigione: da un carcere tedesco, in qualche modo umano, in un carcere nordafricano, di certo molto più duro. Ci sono, cara Comunità, persone che non riescono mai a lasciare i luoghi sbagliati in cui sono giunti, talvolta senza colpa propria, talaltra a motivo di colpa propria. Queste persone sono e restano sempre nel luogo sbagliato. Senza speranza. Senza consolazione. Prigione nel senso reale del termine; ma prigione, anche, come metafora di muri invalicabili con sbarre spesse e fitte. Il luogo più sbagliato di tutti i luoghi sbagliati.

Ma, in modo repentino, e questo, cara Comunità, è il primo punto del nostro testo, il luogo più sbagliato di tutti diventa il posto migliore in cui essere. Il luogo in cui si possono fare esperienze di Dio. Esperienze che aprono tutte le porte rimaste chiuse e inchiodate fino a quel momento. Paolo e Sila si trovano nella parte più interna della prigione, nella sezione di massima sicurezza del carcere di Filippi; i loro pieni sono fissati al suolo da ceppi (come accadeva ancora ai membri della Resistenza tedeschi, prigionieri della Gestapo, tra il 1944 e il 1945). Ma pregano e lodano Dio. Cantano. Si può, cara Comunità, lodare Dio e cantare anche nel luogo più sbagliato di tutti. E talvolta, dice la nostra storia, il Dio di cui cantiamo e cui rivolgiamo preghiere viene, in mezzo alla prigione, e tutte le porte si aprono.

Il nostro testo, tratto dagli Atti degli Apostoli, narra del miracolo in cui le porte si aprono davvero; ma noi conosciamo anche, naturalmente, cara Comunità, storie in cui le porte si aprono metaforicamente. Di Dietrich Bonhoeffer sappiamo che, per lui, ottanta anni fa, le porte del campo di concentramento di Flossenbürg non si aprirono più. Ma prima dell’esecuzione pregò, immerso nella preghiera, come riferì un testimone e avrebbe detto, quando lo si portò via: “Questa è la fine; per me, è l’inizio della vita”. Anche se noi non capiamo questo miracolo della primavera del 1945, qualcuno ha percepito la fine definitiva della propria vita terrena come porta aperta alla nuova vita in Dio. Chi muore così, muore bene. Ed ecco che, di nuovo, la prigione, una prigione particolarmente terribile, il luogo più sbagliato di tutti, divenne luogo giusto. Non sappiamo se Bonhoeffer abbia cantato, a Flossenbürg. Ma, poco prima di essere trasportato via, tenne una meditazione con i suoi compagni di prigionia, durante la quale cantarono inni pasquali; a memoria, naturalmente, perché non c’erano innari. E, di nuovo, il luogo sbagliato divenne il luogo giusto.

Se guardiamo con attenzione al nostro testo di predicazione, narrato in modo così avvincente, cara Comunità, allora è chiaro che non siamo per niente alla fine. Nel racconto della sezione di massima sicurezza del carcere della città di Filippi, nella Grecia settentrionale, non ci sono solo Paolo e Sila, suo collaboratore, che in altri passi biblici viene chiamato anche Silvano. C’è ancora il direttore della prigione. Probabilmente, si tratta di un funzionario con senso del dovere, sempre preoccupato di fare tutto nel modo giusto. Per lui, all’improvviso, il luogo in cui tutto era giusto diventa un luogo sbagliato.

“27 Il carceriere si svegliò e, vedute tutte le porte del carcere spalancate, sguainò la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti. 28 Ma Paolo gli gridò ad alta voce: «Non farti del male, perché siamo tutti qui». 29 Il carceriere, chiesto un lume, balzò dentro e, tutto tremante, si gettò ai piedi di Paolo e di Sila; 30 poi li condusse fuori e disse: «Signori, che debbo fare per essere salvato?» 31 Ed essi risposero: «Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia». 32 Poi annunciarono la Parola del Signore a lui e a tutti quelli che erano in casa sua. 33 Ed egli li prese con sé in quella stessa ora della notte, lavò le loro piaghe e subito fu battezzato lui con tutti i suoi. 34 Poi li fece salire in casa sua, apparecchiò loro la tavola, e si rallegrava con tutta la sua famiglia, perché aveva creduto in Dio.”

E questo, cara Comunità, ai miei occhi è il punto, il secondo, forse ancora più bello, più prezioso del racconto. Troppo spesso qualcosa diventa per noi il luogo giusto a spese di altri esseri umani. Ci sistemiamo splendidamente e, all’improvviso, gli altri sentono il luogo come sbagliato. Ciò che sembra giusto ad uno è sbagliato per un altro. Luca, col suo racconto, testo di predicazione tratto dagli Atti, vuole rendere chiaro questo: Dio vuole che il mondo sia un luogo giusto, e non sbagliato, per tutti gli esseri umani. Paolo e Sila salvano la vita del direttore della prigione. Non salvano solo la sua vita. No, salvano anche la vita del malvagio che li ha tenuti in prigione, incatenando i loro piedi in ceppi.

Salvano la vita del direttore della prigione perfino sotto un duplice aspetto: non solo il direttore viene trattenuto dal commettere suicidio, ma trova la vita vera dei cristiani e, da quel momento in poi, vive da cristiano. Lava le striature insanguinate delle frustate ricevute dai prigionieri sulla piazza del mercato e dei ceppi in cella; fascia le loro ferite e mangia insieme con loro. Prima di mangiare viene velocemente battezzato, così che in fondo, alla fine, abbiamo una bella immagine di banchetto della festa dopo il battesimo. E certissimamente, cara Comunità, tutti quelli che erano a Filippi hanno cantato: durante il battesimo; durante la cura delle frustate e delle ferite; durante il culto battesimale. Avranno cantato qualcosa del genere che cantiamo anche noi, oggi: “Son battezzato nel tuo nome” Dio, Padre e Figlio; naturalmente, in greco. E durante la cena, naturalmente, avranno cantato. La preghiera a tavola: “Tutti gli occhi guardan a Te, Signore.” Nell’arrangiamento di Schütz. A quattro voci. O qualcosa del genere.

Dio trasforma i luoghi sbagliati, in cui non c’è musica o comunque non ce n’è di così bella e suonata così forte, nei luoghi davvero giusti. E uno degli strumenti magici con cui trasforma i luoghi sbagliati in luoghi giusti è la musica. E il canto. Non dev’essere sempre il coro dei Thomaner. O quello della Cappella Sistina. Talvolta, basta anche un bell’inno, come ne cantiamo qui insieme. E come ne canteremo tra poco.

Siamo nel luogo sbagliato? No di certo. Affinché Dio illumini il nuovo Vescovo di Roma, gli doni la forza del suo Spirito, elargendo abbondante benedizione, per mezzo del nuovo Papa della Chiesa di questa città, all’ecumenismo, a tutta la cristianità, alla pace del mondo, possiamo pregare nella nostra cameretta. Non dobbiamo stare in piazza S. Pietro per questo. Ed ecco che la Christuskirche è proprio il lugo giusto per questo. Tra poco, nelle intercessioni, pregheremo in questa chiesa meravigliosa. E canteremo. Ripeto: cara Comunità, siamo certissimamente nel luogo giusto, qui, oggi. Qui, dove suona la musica.

Amen.

Cantate – Prof. Dr.es Christoph Markschies