Domenica 16 ottobre 2022, Kirchentag ELKI: «Con un sorriso»

Matteo 2,1-12

 

Molti di voi conosceranno il romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa. La vicenda principale è costituita da una serie di omicidi, che hanno lo scopo di impedire l’accesso a un certo libro di Aristotele. Esso è custodito nella biblioteca del monastero nel quale è ambientato il racconto: il vecchio bibliotecario non può distruggere il testo, anche perché è l’unico l’esemplare esistente, ma deve assolutamente evitare che esso venga letto. E perché? Perché il suo tema è l’umorismo, l’ironia, il riso. E Jorge da Burgos, il “cattivo” della storia, teme che essi compromettano l’onore di Dio e la sua santità: quando si comincia a fare dell’ironia, non si sa mai quando e dove si finisce. Lo sanno bene i tiranni di tutte le epoche, compresi quelli religiosi: la strage nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo aveva motivazioni religiose, nella fattispecie di matrice islamica, e andava esattamente nella stessa direzione del monaco del quale racconta Umberto Eco.

 

È giusto aggiungere che è molto facile condannare questo tipo di fanatismo quando crediamo di individuarlo negli altri: in Italia, per esempio, è frequente sentir parlare della seriosità un po’ bigotta dei protestanti, che sarebbero di origine nordica, lontani dal carattere solare che invece sarebbe tipico dei latini. Si tratta, evidentemente, di banalità frutto di ignoranza. Lutero, ad esempio, ci ha lasciato molto umorismo. L’ironia, vissuta nell’orizzonte della fede, è impegnativa e al tempo stesso liberante. Impegnativa, perché mette in discussione sicurezze alle quali siamo affezionati; per la stessa ragione è anche liberante, in quanto ci mostra che Dio è più grande delle nostre sicurezze e anche delle nostre teologie. E non lo dico perché disprezzi la teologia, anzi: un po’ di ironia, però, aiuta a non trasformarla in un idolo. Ed è in questa prospettiva che vi propongo la rilettura di un passo famosissimo.

 

Lettura di Matteo 2,1-12

 

A prima vista potrebbe sembrare una favoletta e in un certo senso lo è. Ma è una favola pericolosa, perché pone una domanda esplosiva, politicamente esplosiva: chi è il re dei Giudei? Erode, quando sente questa espressione, si spaventa, «e tutta Gerusalemme con lui»: una cosa simile è raccontata anche verso la fine del vangelo di Matteo, quando Gesù entra in Gerusalemme, in una specie di marcia trionfale, che però terminerà sulla croce. Chi è il re dei Giudei? Quando il potere formula questa domanda, sta già organizzando la propria polizia segreta, i propri squadroni della morte.

 

I Magi venuti dall’Oriente, invece, sanno benissimo che il re del Giudei è un bambino appena nato. Hanno camminato a lungo per arrivare in Giudea ad adorarlo. E chi li ha informati? Una stella! I magi, infatti, sono astronomi, ma anche astrologi: nell’antichità le due cose andavano assieme. Scrutavano il cielo e hanno individuato un astro che, secondo loro, lo avrebbe portati dal re dei Giudei che è nato. Come cristiani, e forse ancor più in quanto protestanti, del XXI secolo, abbiamo diversi buoni motivi per restare perplessi di fronte all’astrologia come percorso per giungere a Gesù. E anche nel Cinquecento, quando Melantone manifestava il proprio interesse perle stelle, Lutero lo prendeva in giro (e si limitava a questo perché aveva un debole per Melantone: fosse stato un altro avrebbe reagito ben diversamente!). Se qualcuno venisse a chiedermi: ma come posso incontrare Gesù, oggi, come pastore non mi sognerei mai di consigliare di seguire una stella.

 

E che cosa suggerisce un tranquillo pastore protestante come me a chi gli domanda dove e come incontrare il Cristo, in questa società italiana, che riesce ad essere bigotta e secolarizzata nello stesso tempo? Gli o le direi: cercalo nella Scrittura. Certo non nell’oroscopo, ma nemmeno nel sangue di san Gennaro o in qualche altra espressione folcloristica presentata come cristiana. Gesù Cristo, l’unica parola di Dio, è presente nella Scrittura e in essa ci parla. Ogni protestante che si rispetti, parlando così, picchia il pugno sul tavolo e si sente un po’ Lutero a Worms, il che ogni tanto può persino far bene alla salute.

 

Anche nel nostro testo ci sono coloro che cercano il re dei Giudei nella Scrittura, e lo trovano anche! Ma chi sono? I consulenti di Erode. Il testo non dice che anch’essi vogliano uccidere Gesù, tuttavia Matteo li presenta piuttosto criticamente. È un fatto che questi studiosi della Bibbia (i protestanti della situazione, potremmo dire) sono dalla parte sbagliata: svolgono un servizio per conto dell’assassino. Il Padreterno deve mandare un angelo ad avvisare i genitori di Gesù e i Magi, ma nemmeno questo impedisce la Erode scateni la sua furia sanguinaria. Gli astrologi vanno ad adorare il Messia seguendo una stella; e gli uomini della Scrittura si ritrovano dalla parte di Erode. Vi è, in ciò, una ironia non superficiale, che però accompagna una tragedia.

 

Qual è la morale della favola? Dobbiamo diventare astrologi anche noi? Naturalmente no. Molto semplicemente, il racconto mette in guardia contro il fanatismo. Il Signore conosce strade che a noi sono ignote; il nostro compito è di praticare e indicare quelle che conosciamo; ma anche di lasciare a Dio la libertà di sceglierne altre, dove e quando egli vuole. L’ironia della Bibbia, potremmo dire, come appello a una conversione della quale anche noi abbiamo sempre bisogno, quella dall’idolatria alla fede.

 

Non si vive, naturalmente, di sola ironia. L’ironia, però, può aiutare a vivere; e forse persino a scoprire la serietà della fede, come si addice a buone e buoni protestanti.

 

Amen

Predica Kirchentag ELKI – Prof. Fulvio Ferrario