Giovanni 10, 11-21
11 Io sono il buon pastore; il buon pastore dà la sua vita per le pecore. 12 Il mercenario, che non è pastore, e al quale non appartengono le pecore, vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga (e il lupo le rapisce e disperde), 13 perché è mercenario e non si cura delle pecore. 14 Io sono il buon pastore, e conosco le mie, e le mie conoscono me, 15 come il Padre mi conosce e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. 16 Ho anche altre pecore, che non sono di quest’ovile; anche quelle devo raccogliere ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge, un solo pastore. 17 Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi. 18 Nessuno me la toglie, ma io la depongo da me. Ho il potere di deporla e ho il potere di riprenderla. Quest’ordine ho ricevuto dal Padre mio».
19 Nacque di nuovo un dissenso tra i Giudei per queste parole. 20 Molti di loro dicevano: «Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo ascoltate?» 21 Altri dicevano: «Queste non sono parole di un indemoniato. Può un demonio aprire gli occhi ai ciechi?»
Cara Comunità!
I
Amabile è il maggio… ci troviamo in primavera. Il sole si fa sentire con il suo calore mite. La Natura intorno a noi si ridesta con in più bei colori. E, in modo consono, la Chiesa, nella Domenica del Buon Pastore, riflette su un tema splendido. La seconda domenica dopo Pasqua si dedica all’immagine amata e diffusa del Signore come Buon Pastore: “… mi fa pascolare su prati verdi e mi conduce ad acque fresche.” E già, con la Pasqua alle spalle e la primavera davanti a noi, ci ritroviamo in un paesaggio meraviglioso. In un mondo perfetto di pascoli fioriti e di prati verdi, in una Natura in pace e in quiete armoniosa.
In modo idilliaco e senza problemi, come talvolta ci auguriamo che sia la vita.
In modo idilliaco e senza problemi, come molti si augurerebbero anche le azioni di Dio, rimanendo perciò delusi.
L’immagine di Gesù, apparentemente scevra di problemi, si trova già nelle catacombe. Spesso vi troviamo l’immagine del Buon Pastore.
Gesù, raffigurato come un uomo giovane, col bastone del pastore e un agnello.
Questo motivo sembra essere piaciuto molto ai primi cristiani. Perché il Buon Pastore era così amato
Anzitutto, nella cultura dell’epoca il motivo del pastore era amato ovunque. Anche i pagani e altri romani facevano riprodurre immagini e statue del pastore. Il motivo era “in”. Il poeta latino Virgilio scrisse poesie sui pastori e mezza Roma s’immaginò quanto sarebbe stato bello vivere in campagna, lontano dalla politica e dal lavoro, all’ombra degli alberi e al suono dei flauti.
La vita pastorale era “in” ed è “in” anche oggi, sebbene l’intera faccenda venga presentata in modo forse troppo idilliaco e scevro di problemi.
I primi cristiani, comunque, raffigurando il Signore come Pastore potevano agganciarsi alla moda dell’epoca. Il Buon Pastore era un’immagine con cui ci si poteva rapportare e che, in qualche modo, tutti consideravano bella e appropriata.
Ora, però, potremmo pensare che il Buon Pastore sia anche l’immagine più bella e appropriata della fede. L’immagine del Pastore è amabile, pacifica e tranquilla. Non disturba.
Mentre la croce provoca, rappresenta la violenza e ricorda una vittima,
nel caso del Buon Pastore sentiamo ronzare le api, immaginiamo pascoli verdi e pensiamo a una vita senza fastidi, anche se la maggior parte di noi lavora nell’industria.
Vediamo pascoli verdi ubertosi, acque fresche che scorrono quiete, pecore che belano contente, ben custodite e condotte da un pascolo all’altro dal Buon Pastore che protegge e tiene insieme il gregge.
Il Signore è il mio Pastore, nulla mi mancherà.
Sono le parole di un salmo antico, non problematico. Magari è così amato proprio per questo.
Questo verso desta un’approvazione profonda, diffonde fiducia.
Il Signore è il mio Pastore. Sono parole che parlano da sole, senza bisogno di esegesi.
Questo è un bene già per i ragazzi. E questo è ciò che amano anche gli anziani nei loro ultimi giorni.
A ragione, i nostri confermandi lo imparano.
Questo è il Buon Pastore ed egli mi protegge come se fossi una pecora.
II
Ma dobbiamo lasciare i verdi pascoli. Perché qui non si tratta di un idillio dolce, puerile.
E nemmeno di un’idea trasognata di un a religione invecchiata, buona ancora magari per gli anziani della nostra società e per i più piccoli, ma che non porta nulla a quelli che si trovano dentro la vita vera, che sia a scuola, nel mondo del lavoro o in politica.
Con il sermone del monte non si può fare politica (Bismarck, Schmidt).
E col Buon Pastore non si va due volte sui verdi pascoli.
“Paesaggi fioriti” non dovrebbero essere dipinti troppo velocemente.
Né l’antico salmo 23 né l’autodefinizione di Gesù come Buon Pastore sono dolci e senza problemi.
Lo sapevano gli antichi oranti dell’Antico Testamento, cui non era estranea la valle oscura.
Lo sapevano anche i primi cristiani, che dipinsero Gesù in veste di Buon Pastore sulle pareti delle catacombe o che ordinarono che quest’immagine fosse sulle lapidi delle loro tombe.
Il Buon Pastore non è contrapposto al Salvatore in croce.
Il Buon Pastore non è la versione morbida per quelli che vogliono estromettere il dolore.
La rappresentazione del Buon Pastore non è alternativa a Gesù in croce, ma è immagine di Gesù stesso. Se Gesù chiama se stesso Buon Pastore,
allora non solo s’identifica, in modo inaudito per gli ebrei, col Dio d’Israele, dando un volto al Pastore del salmo 23, ma, con le sue parole, Gesù chiarisce come sia questo Pastore.
E anzitutto dice: “il buon pastore dà la sua vita per le pecore”.
Il sacrificio sulla croce, qui, non è lasciato fuori, ma incluso.
Questo Pastore non solo versa nel calice, fino a colmarlo, il vino che ha in abbondanza, ma colma il calice col proprio sangue, versato dolorosamente. E questo è più di un dolce idillio di vita agreste e pascoli verdi. Questo è un Pastore che si impegna al massimo.
Per le sue pecore, non fa molto, ma fa tutto! Il fatto che la Chiesa legga le immagini bibliche del Buon Pastore nel periodo di Pasqua non risiede però nella stagione bellissima e nella Natura che si desta! “Va’ nell’estate lieto, cuor”, cantiamo in estate.
Il motivo del tema del Buon Pastore risiede nell’evento pasquale, come è espresso in tutt’altro inno:
Surrexit pastor bonus
qui posuit animam suam pro ovibus suis
et pro suo grege mori dignatus est.
Risorto è il Buon Pastore,
che dette la vita per le sue pecore
e che fu degno di morire per il suo gregge.
Questo responsorio medioevale, molto amato anche dai compositori evangelici, riconosce in Gesù, che ha lasciato la sua vita ed è risorto, l’attuazione più chiara dell’immagine del Buon Pastore:
non perché il Risorto cammini per verdi pascoli, ma perché ha adoperato la propria vita per le sue pecore. Come aveva detto, Gesù?
“Il buon pastore dà la sua vita per le pecore. Il mercenario […] vede venire il lupo, abbandona le pecore e si dà alla fuga. […] Io sono il buon pastore […] e do la mia vita per le pecore” (Gv 10,11.12.14.15).
Questo Buon Pastore dimostra la propria forza non nell’idillio dei verdi pascoli e della vita agreste, così come l’immaginavano tanto bene la letteratura latina antica (le Bucoliche di Virgilio) o Beethoven nella Sinfonia n. 6 “Pastorale”.
Questo Pastore dimostra la sua forza nella valle oscura.
Questo Pastore non è contraddistinto dalla spensieratezza né dallo stile di vita semplice, ma dalla sua sofferenza. Quest’informazione è appropriata al tempo della gioia pasquale?
Quando celebriamo la Pasqua, ci piacerebbe lasciarci alle spalle queste formule dolorose. Quando pensiamo alla Resurrezione, preferiremmo togliere di mezzo tutto questo parlare di sofferenza, peccato ed espiazione.
Come se, nell’innario, sfogliando le pagine si passasse dalla sezione “Passione” alla sezione “Pasqua”. “O capo insanguinato” era ieri; oggi c’è “Cristo è risorto”. Ieri, “Miserere”; oggi, “Alleluja”.
Tanto di rado si verifica un tale forte cambiamento d’umore nella nostra vita, tanto esso è inappropriato per il destino del Buon Pastore!
Il Risorto non si lascia semplicemente alle spalle la morte, ma ci porta il suo frutto.
Egli non ha dimenticato la sofferenza, ma porta ancora i segni dei chiodi.
Cristo non si è lasciato alle spalle la morte, ma l’ha vinta.
La croce non è passata, ma è posta nella giusta luce!
La sofferenza personale non viene spazzata via, ma viene guarita.
L’idea di Gesù come Buon Pastore ci mostra che la Pasqua non è un cambiamento d’umore divino od umano ma è un evento di guarigione, un processo di redenzione, compiuto da un Pastore.
Per mezzo delle sue ferite siamo guariti. Poiché egli è guarito, anch’io posso essere guarito.
“E se pure camminassi in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me.”
Non si tratta di un’immagine letteraria per questa o quella ora difficile, ma s’intende la morte.
Cristo è lì. Come Buon Pastore, ha fatto questo cammino regalmente, precedendoci. È questo che vuol dire Resurrezione. Egli ci conduce dove medici, genitori, amici e partner devono lasciarci andare. Il Buon Pastore pasquale non è un idillio primaverile, ma è un Salvatore autentico!
III
Ed ora dobbiamo parlare ancora della distinzione che Gesù opera tra il pastore e il mercenario.
Il Buon Pastore dà la propria vita per le pecore.
Ma il mercenario, che non è pastore, cui le pecore non appartengono, vede arrivare il lupo e abbandona le pecore e fugge… Un mercenario è un pastore assoldato, che fa il suo lavoro, ma niente di più. Non ha un rapporto personale con le pecore.
Il Buon Pastore è il proprietario delle pecore. Non è interessato solo al lavoro, ma a tutto.
Nella nostra vita, abbiamo un‘ottima percezione per chi fa il proprio lavoro da dipendente, solo per calcolo o perché deve e per chi si impegna davvero.
Il medico che si sbriga perché, nei suoi pensieri, si sta già occupando del prossimo paziente.
L’insegnante che distribuisce sempre gli stessi fogli dei compiti e che non ascolta le domande ardue degli studenti. Il meccanico che ripara automobili, che vuole mettere quante più voci possibile nel conto, ma cui non interessa quanto a lungo la macchina possa camminare senza problemi.
La commessa del negozio d’abbigliamento, che propone subito gli accessori che stanno bene col vestito scelto, senza percepire se quell’abito piace davvero alla cliente.
Noi tutti conosciamo i mercenari del nostro mondo.
Ma ci sono anche gli altri. I medici che partecipano davvero al destino dei loro pazienti e che hanno una vera sensibilità per capire dove questo è necessario e dove non lo è.
Le insegnanti che non sono interessate solo a voti e compiti, ma anche alla felicità dei loro studenti.
Le educatrici il cui impegno non finisce al termine del periodo di lavoro ma che continuano a pensare anche dopo ad alcuni bambini.
I commercianti onesti che, qualche volta, rinunciano a un affare quando capiscono di che cosa il cliente ha davvero bisogno.
Noi tutti, cara Comunità,
abbiamo una sensibilità sottile per chi fa solo il proprio lavoro e per chi si occupa davvero di noi.
E quindi capiamo la distinzione operata da Gesù tra mercenario e Buon Pastore.
E quando si tratta della nostra vita, dobbiamo affidarla chiarissimamente a colui che fa sul serio: a Gesù, il Buon Pastore. Egli non ha fatto un lavoro qualsiasi, ma ha dato la sua vita.
E così l’antica definizione di Buon Pastore ne guadagna in profilo.
Il pastore accorto calcola costi e utili.
Il pastore accorto non vuole perdere alcuna pecora perché mancherebbe al suo possesso.
Il pastore accorto conta regolarmente le sue pecore perché non vuole avere perdite.
Il pastore accorto conduce le sue pecore anche su prati verdeggianti perché vuole che si alimentino bene e che crescano vigorose. Ma fa tutto questo per un calcolo accorto.
Gesù non è un Pastore accorto, ma buono.
Per le sue pecore, va oltre il limite.
Non solo le guarda dal baratro mortale, ma si getta egli stesso nel baratro per riprendere le sue creature cadute. L’accortezza ha un aspetto diverso.
Questo è più che calcolo. Questo è amore.
E pertanto questo Buon Pastore ha meritato la nostra fiducia.
La fiducia dei bambini che si aggrappano a quest’immagine.
La fiducia degli anziani che possono morire con quest’immagine davanti agli occhi.
E, cari adulti, il bambino in noi, che è sempre in cerca di amore genuino e incondizionato, anche se noi lo impacchettiamo bene.
Ascoltiamo questo bambino dentro di noi, che, anche nelle esperienze dolorose, non smette di prendere fiducia,
se solo ha qualcuno cui poter dire: tu sei con me!
A Gesù si può dirlo, e proprio quando le cose ci vanno male;
quando si verificano le piccole o grandi incomprensioni che non sono risparmiate a nessuno;
quando dobbiamo attraversare tutta la valle oscura.
E certo allora ci riuscirà difficile dire: “nulla mi mancherà”. Ma proprio allora, quando ci mancheranno molte cose o addirittura tutto; proprio allora, quando ci sentiamo miseri,
ecco che la fede nel Buon Pastore dispiega la sua forza. Chi può ancora dire: “tu sei con me”, non lo dice a sé, ma a Dio stesso. E Dio sarà con lui. Questo è il nostro cammino. Egli ci conduce su pascoli verdi, non solo una volta l’anno, a primavera, ma in modo permanente e per l’eternità.
Amen.