Cari Fratelli, care Sorelle!

 

Chi siamo noi? Questa sera, ci presentiamo qui come diverse Chiese e Comunità cristiane. Nella molteplicità delle tradizioni cristiane, possiamo vedere, ed è bello, che ci consideriamo a vicenda. Anche solo questo è una conquista di questa Veglia e della tradizionale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Sono pertanto grato di essere qui con voi.

Vediamo chi sono gli altri; vediamo le differenze; e, con ciò, comprendiamo più profondamente anche chi siamo noi.

Chi siamo, noi? Oggi, però, desidero porre questa domanda guardando al Vangelo. Desidero porre questa domanda guardando alla parabola di Gesù sul Buon Samaritano e desidero domandare a noi: chi siamo, noi, in questa storia? Con chi ci identifichiamo?

E adesso non dite subito, come facciamo noi, nella nostra cerchia, che pensiamo sempre, in modo automatico: noi siamo il Buon Samaritano! Siamo quello che fa il bene, che esercita l’amore, che è misericordioso! Naturalmente, vogliamo essere il Buon Samaritano; naturalmente, la parabola ci spinge in quella direzione; naturalmente, dobbiamo esercitare l’amore; ma la parabola non è così semplice e il Signore non ci congeda così presto dalla sua lezione. Per meglio ipotizzare la nostra identità proponiamo di identificarci con tre figure chiave della parabola.

 

I Il maestro della legge

Chi siamo noi? Siamo quello che, all’inizio del nostro Vangelo, pone la domanda. Siamo molto simili al dottore della legge, che si alza e chiede Gesù: “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?” „Maestro, chi è mio prossimo?“.

Il dottore della legge conosce la sua Sacra Scrittura. Lo scriba sa che cosa è importante presso l’unico Dio d’Israele.

Ma noi siamo anche quelli che conoscono i comandamenti di Dio. Siamo anche quelli che non si sorprendono, sentendo oggi, per la millesima volta, le parole:

“Ama il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, e il tuo prossimo come te stesso”.

Lo sappiamo e, nella maggioranza dei casi, lo sappiamo fin dai tempi del catechismo durante la fanciullezza.

Il motto di questa Settimana di preghiera non è nuovo. La risposta del dottore della legge non è nuova. Il concetto di amore del prossimo non è nuovo. Perfino nei nostri tempi secolarizzati, la maggior parte delle persone sa che ciò fa parte del cristianesimo.

“Ama il Signore tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso”.

Lo sappiamo e, forse, lo sappiamo da troppo tempo. Ci siamo stancati. È come in un vecchio matrimonio: ci si conosce, ma la passione è svanita.

“Ama il Signore tuo Dio e il tuo prossimo come te stesso”.

Vedete, cari Amici, il problema non è il sapere; il problema è la motivazione, la convinzione, l’azione!

Perciò questo dialogo tra Gesù e il fariseo non è un gioco cinico, ma è un esempio importante, per noi, proprio in quanto dottori delle nostre Chiese:

Abbiamo bisogno di dialogo permanente con Gesù. Dobbiamo domandargli ogni giorno: Che cosa dobbiamo fare?

Il vecchio sapere non basta. Catechesi e studio sono importanti, ma non sono abbastanza. Abbiamo bisogno del dialogo quotidiano con Gesù.

Egli ci deve sempre di nuovo schiudere la comprensione della Parola di Dio. Egli deve sempre di nuovo accendere il fuoco nei nostri cuori. Egli deve sempre di nuovo infondere forza: proprio a noi, che rappresentiamo le nostre diverse Chiese.

Se la rappresentazione delle nostre diverse tradizioni, qui, non dev’essere un museo della religione, ma testimonianza viva, allora noi tutti abbiamo bisogno del dialogo costante col Signore.

E quel fariseo freddo, sospettoso diventa per noi d’esempio: dobbiamo domandare. Possiamo domandare tutto a Gesù, anche ciò che, in teoria, già sappiamo. Egli ci dà la risposta. Ci dà risposte che toccano il nostro cuore. Potete immaginare allora come questa parabola abbia toccato quel fariseo. Non l’avrà più dimenticata.

Le risposte di Gesù non dicono “giusto” o “sbagliato”; le risposte di Gesù non sono una dottrina morale: le risposte di Gesù sono, come dice il Vangelo secondo Giovanni (6, 68), Parole di vita eterna. Esse ci conducono in una realtà nuova.

In un’epoca in cui molti si distaccano dalla Chiesa, perché le sfide appaiono troppo complicate, il Signore stesso domanda a noi: “Volete andarvene anche voi?” E noi dovremmo rispondere, come Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.“

Un cristiano che smette di cercare risposte da Gesù non è più cristiano. Prima o poi, soffrirà la sete spirituale.

Poniamo le nostre domande, comunque appaiano, così come fece questo fariseo anonimo, all’inizio del nostro Vangelo!

 

II Il sacerdote

Chi siamo, noi? Nella nostra parabola, compaiono un sacerdote e un levita. Passano davanti al ferito senza fermarsi. E così diventano i cattivi della nostra storia. Siamo tutti sconvolti, leggendo che passano oltre l’uomo moribondo.

Non vogliamo essere così! Anche se molti, tra noi, oggi, sono sacerdoti, non vogliamo assolutamente identificarci con questo membro del clero.

Ma, anche in questo caso, dovremmo essere cauti nel lasciarci andare a un giudizio frettoloso.

Questo sacerdote ha fatto il suo dovere. Ha fatto ciò che era necessario e che prescrivevano le sue regole.

Doveva giungere puntuale al Tempio. Se avesse soccorso l’uomo, sarebbe arrivato in ritardo. Doveva svolgere il suo servizio sacro. Se avesse soccorso l’uomo, sarebbe diventato impuro.

Il sacerdote non è l’esempio di un uomo cattivo, crudele. Il sacerdote è immagine di noi cittadini moderni, con tutte le nostre responsabilità e tutti i nostri doveri, con tutte le nostre preoccupazioni e idee.

Talvolta, possiamo essere così buoni e moralmente perfetti da perderci nelle nostre regole e da non vedere la persona accanto a noi, che giace a terra. Anche i nostri idealismi e impegni attuali possono diventare un’ideologia di cui restiamo intrappolati e che, in ultima analisi, ci rende ciechi. Essere aggiornati non significa automaticamente essere aperti. Restare fedeli a tradizioni antiche non significa automaticamente essere freddi e poco misericordiosi.

Questo sacerdote della parabola non è una figura ammonitrice e neanche una caricatura del clero, ma è un monito rivolto a noi:

Attento a non perderti in tutti i tuoi doveri e in tutte le tue idee!

Resta sempre tanto libero da vedere che cosa accade alla tua destra e alla tua sinistra! Auspichiamo che anche questo, oggi, nei nostri contatti ecumenici si possa dire: dobbiamo restare sempre tanto aperti da vedere sempre quel che accade a destra e a sinistra della nostra confessione o della nostra Chiesa. Siamo tutti, nel nostro servizio sacro, in cammino per Gerusalemme. Ma alla nostra destra e alla nostra sinistra camminano anche gli altri!

 

III Il ferito

Chi siamo, noi? Nella parabola, infine c’à anche l’uomo senza nome, ferito e derubato. Si imbatte nei predoni ed è lasciato ferito a terra. Ci muove a compassione; ma ci identifichiamo con lui?

Nel dialogo ecumenico, vogliamo presentare i nostri punti di forza. Negli incontri ecumenici, vogliamo fare bella figura. Vogliamo mostrare, statistiche alla mano, che la nostra Chiesa si sviluppa in modo positivo.

E allora indichiamo i punti di forza delle nostre tradizioni: la nostra profonda teologia, la forma estetica della nostra liturgia, la nostra incidenza culturale, i nostri progetti sociali. E io non voglio sottovalutare nessuno tra questi punti di forza! Tutte le Chiese e tradizioni qui presenti hanno i loro carismi e punti di forza peculiari.

Dovremmo mostrare anche le nostre ferite, soprattutto al cospetto di altri cristiani!

Nessuno dirà che la propria Chiesa non sia anche malata. La Chiesa nel mondo è attaccata da molti, diversi predoni. È stata ferita in molti modi e, spesso, può solo procedere zoppicando. Poi ci sono gli attacchi dall’interno, che ci paralizzano e feriscono: come liti e tensioni, indolenza e stanchezza.

Anche la nostra strada da Gerusalemme a Gerico è piena di pietre e pericoli. E noi cadiamo sempre di nuovo.

Come potremmo soccorrere gli altri, se non sappiamo di essere caduti, di essere indeboliti, dove le nostre istituzioni sono ferite da attacchi del mondo laico, dove le nostre risorse spirituali vengono trascurate?

Magari, possiamo tentare di risanarci le ferite a vicenda, con le nostre differenti esperienze culturali e storiche; con i punti salienti della nostra dottrina, con la profondità della nostra praxis pietatis.

Niente, nella Storia, ha fatto crescere la cristianità più della persecuzione. E niente ha reso coese le diverse Chiese cristiane più del martirio. Posso assicurarvelo, guardando alla storia tedesca nell’ambito della quale sacerdoti e pastori si ritrovarono insieme nei campi di concentramento.

Non vogliamo tacciare la sofferenza della nostra Chiesa!

Non vogliamo nascondere le nostre ferite gli uni agli altri. Piuttosto fasciamocele a vicenda!

Quanto bene ci farebbero l’olio e il vino dell’altro, se venissero versati nelle nostre ferite, nelle nostre debolezze! Non possiamo guarirci da soli, nemmeno come Chiese. Il Signore deve far agire in noi la sua forza guaritrice, e lo fa anche con le parole e le azioni degli altri cristiani su di noi. Ciò è inaspettato e sorprendente proprio come il soccorso che, nella nostra parabola, viene da uno da cui non ce lo si sarebbe atteso: dallo straniero, dal Samaritano. Anche se, si spera, che noi tutti andiamo verso il nuovo anno in maniera positiva e in buona salute, siamo più vicini di quel che pensiamo al ferito della parabola.

 

Miei cari, alla fine non ci siamo identificati per niente col Buon Samaritano!

Non l’ho fatto per motivi diplomatici. Perché chi avrei dovuto identificare come tale: questa o quella confessione, questa o quella Chiesa qui a Roma, tutti voi qui e anche me stesso? Non l’ho fatto per motivi teologici. Perché non è compito mio identificare questo o quello col Buon Samaritano! Perché questa identificazione non avviene né in una predica né nella nostra riflessione personale, ma avviene là fuori, nella vita, nella vostra quotidianità, in strada. Avviene quando incontriamo persone e rispondiamo al loro stato di necessità.

Questa identificazione non siamo assolutamente noi a farla, ma è fatta da altri:

che il Signore ci doni che altre persone un giorno dicano di noi: è lei, è lui che è diventato il mio prossimo.  Amen.

Predica per la Veglia diocesana 19/01/24 – Pastore Dr. Jonas