Il testo per la predicazione dell’odierna Domenica Iubilate, tratto dalla II Lettera ai Corinzi, dice:

 

14 sapendo che colui che risuscitò il Signore Gesù risusciterà anche noi con Gesù, e ci farà comparire con voi alla sua presenza. 15 Tutto ciò infatti avviene per voi, affinché la grazia che abbonda per mezzo di un numero maggiore di persone moltiplichi il ringraziamento alla gloria di Dio.

16 Perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno. 17 Perché la nostra momentanea, leggera afflizione ci produce un sempre più grande, smisurato peso eterno di gloria, 18 mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne.

 

L’ottimizzazione del proprio corpo, cara Comunità, ha corso nella nostra epoca. Alimentata da pubblicazioni patinate; pubblicizzata da saloni di bellezza e da negozi che vendono integratori alimentari; visibile anche nelle grandi vetrine dei centri di fitness, che promettono, anche in vecchiaia, prestanza fisica e aspetto attraente. Ad essere trasmessa è un’impostazione di vita secondo cui si può attraversare la vita sani e attivi più a lungo possibile. Si tratta di un fenomeno della nostra epoca, che, in gran parte, va ricondotto alle idee e ai progressi che contraddistinguono la ricerca medica degli ultimi decenni. In effetti, è stupefacente e affascinante quanto è diventato possibile grazie a medici competenti, terapie raffinate e programmi psicologici. Ancora alcuni decenni fa, per non dire secoli fa, tutto questo si sarebbe potuto solo sognarlo. Invecchiare, oggi, non significa più non trovare più compiti e non poter più fare cose. Gli “anziani” sono, oggigiorno, persone che hanno qualcosa in programma per la loro vita; che si assumono compiti in famiglia, nella Chiesa o nella società; che viaggiano, si istruiscono, curano i contatti e per le quali l’essere “a riposo” non significa davvero “riposarsi”. Concetti come “a riposo” o “anziani” possono avere l‘effetto di essere inadeguati o estranei. Quando mia moglie ed io, a marzo, eravamo in vacanza a Malta, abbiano notato, con meraviglia, che noi, che siamo all’inizio dei 60 anni, potevamo ricevere un biglietto per anziani in quasi tutti i musei, chiese etc. E, qualche volta, ho pensato che mi si sarebbe potuto domandare se avessi davvero 60 anni. Così, prima di quanto avremmo pensato possibile che accadesse, siamo diventati “anziani”. Vista dai nostri nipoti, probabilmente, lo siamo.

Possiamo rallegrarci ed essere grati perché, oggi, il benessere fisico e intellettivo può essere mantenuto più a lungo di una volta. Il fissarsi sul corpo sano, forte e bello, però, nasconde anche un pericolo. Il pericolo che noi cerchiamo nel qui e ora ciò di cui è fatta la nostra vita; che non intendiamo più il nostro corpo come dono di Dio, da trattare responsabilmente, finché viviamo in terra; che il nostro corpo, la nostra esistenza terrena, non sono però tutto ciò di cui è fatto il nostro esserci come creature di Dio.

È di questo che tratta il testo della predica odierna; è questo il tema del culto di oggi. I testi biblici parlano di creazione e nuova creazione.  La lettura dall’Antico Testamento, che abbiamo ascoltato prima, si trova all’inizio della Bibbia. Cielo e terra e anche noi esseri umani veniamo creati da Dio. In questa prospettiva è posto tutto quel che segue nella Bibbia.  Non si dovrebbe irridere il racconto della creazione del mondo e dell’essere umano come idea ingenua o dismetterla come visione del mondo superata. Intendere il mondo e noi stessi come creazione di Dio significa: tutto quel che ci circonda: piante, animali, acqua, terra, aria, non è semplicemente massa disponibile, di cui fare quel che vogliamo. Invece, ci è data affinché la trattiamo in modo responsabile. Quanto ciò sia importante, lo abbiamo davanti agli occhi, guardando ai pericoli per il clima e alla maniera molto poco sensibile con cui, spesso, vengono trattati piante e animali. E intendere noi stessi come creature di Dio ci fa diventare grati e sereni. Grati perché abbiamo ricevuto in dono il tempo della vita, che possiamo riempire. Sereni perché sappiamo che la nostra vita è inserita nel contesto più grande, complessivo di questo mondo, che Dio ci ha dato per coltivarlo e custodirlo. Anche noi stessi siamo parte del creato di Dio; possiamo essere in terra per un po’, gioire di essa, contribuire a darle forma.

E c’è ancora un secondo aspetto importante, nei testi del culto di oggi. Non parlano solo di creazione, ma anche di nuova creazione. Già il versetto della settimana dice che noi, in Cristo, siamo diventati una “nuova creatura”. Ciò che era vecchio è passato, tutto è diventato nuovo.

Il testo della predicazione approfondisce questa visione di noi cristiani come di “nuova creatura”. “Il nostro uomo esteriore si va disfacendo”, vi è detto. È una visione realistica. La nostra esistenza fisica passa, viene logorata dal trascorrere degli anni, è sempre diretta verso la fine terrena. Quest’esperienza la facciamo tutti, prima o poi. La nostra esistenza terrena è limitata, nonostante tutti i programmi di fitness, nonostante tutti i progressi della medicina. Ma, al tempo stesso, stabilisce subito dopo il testo, il nostro “uomo interiore” viene continuamente rinnovato. L’”uomo interiore” è quella parte di noi che è diretta verso la gloria che Dio ha in serbo per noi. Adesso, nella vita terrena, non possiamo ancora vederla, ma possiamo già adesso essere certi che la nostra esistenza terrena è avvolta dalla provvidenza di Dio per noi, che si spinge più in là dell’esistenza caduca, fisica. “Uomo esteriore” e “interiore“ sono le due parti integranti del nostro essere. L’uomo esteriore è il corpo con cui ci è dato di vivere in terra. L’uomo interiore, invece, include la nostra intera esistenza come creature di Dio. E trascende la nostra esistenza terrena. In quanto creature di Dio, non siamo limitati all’esistenza caduca, fisica. Invece, viviamo della certezza che Dio ha vinto la morte; che la sua potenza è più grande della morte e della transitorietà, del dolore e della paura.

Se guardiamo così alla nostra esistenza, allora non dobbiamo aggrapparci al corpo terreno; non dobbiamo impiegare tutte le forze per impedire il declino fisico ricorrendo a programmi di fitness e a integratori alimentari. Se intendiamo noi stessi come creature di Dio, alla luce del messaggio pasquale, la nostra esistenza terrena entra in una luce nuova. Il nostro tempo limitato, su questa terra, è inserito nell’orizzonte più ampio della fede in Dio, che è più forte della morte. Il transitorio e il permanente, il tempo e l’eternità vengono così posti in rapporto nuovo. “Insegnaci a contare i nostri giorni per acquistare un cuore saggio”. Lutero l’ha tradotto così: “Aiutaci a pensare che dobbiamo morire, affinché diventiamo saggi”. L’idea della finitezza della nostra esistenza terrena ci fa diventare saggi: è un’idea importante, che troviamo nella Bibbia.

Il rinnovamento dell’”uomo interiore”, di cui parla il nostro testo, ha il suo fondamento nella resurrezione di Gesù Cristo, che garantisce anche la nostra resurrezione. Dio ha ridestato Gesù; ridesterà anche noi: così è detto all’inizio del testo. Perciò tale testo appartiene al tempo di Pasqua; perciò è esso stesso testo pasquale. Celebra la resurrezione di Gesù come qualcosa che dà alla nostra vita un orientamento nuovo. Resurrezione significa: dolore e morte non hanno l’ultima parola; c’è una speranza più forte di ogni paura; che vince odio e violenza; che resiste alla disperazione e alla mancanza di coraggio che, talvolta, ci aggrediscono.

“Resurrezione”: non dovremmo dismettere nemmeno questa concezione come qualcosa che non si addice al nostro mondo moderno. La fede nella Resurrezione pone la nostra vita nell’orizzonte ampio del mondo e dell’essere umano come creazione di Dio. La Resurrezione non è un’idea ingenua riguardo persone morte che escono dalle tombe. Tali racconti della Bibbia sono, invece, esemplificazioni dell’idea che la nostra esistenza terrena è solo una parte della nostra esistenza di creature di Dio. La nostra esistenza su questa terra è avvolta dalla potenza di Dio, che trascende la nostra morte fisica, come dice la fede nella resurrezione di Gesù e la resurrezione di coloro che appartengono a Gesù.

“Perciò non ci scoraggiamo”, dice il testo della predicazione. Questo, per Paolo, è conseguenza della certezza pasquale che Dio si è dimostrato essere Dio della vita. La resurrezione di Gesù contrappone alla preoccupazione che questo mondo e la nostra vita possano avere una brutta fine, il fatto che Dio imporrà il suo ordine buono. Al timore di essere alla mercè delle sofferenze della nostra esistenza terrena, la resurrezione di Gesù contrappone la speranza nella redenzione da ogni dolore e da ogni tristezza. Il messaggio pasquale ci invita a lasciarci coinvolgere dalla forza trasformatrice di Dio. Ci invita a non disperare, anche di fronte alle notizie di guerre e distruzioni che di continuo ci scuotono in queste settimane e mesi: quelle che vengono dall’Ucraina e quelle, che destano preoccupazione crescente, da Israele e da tutta il Medio Oriente. Proprio in un’epoca come questa è importante che viviamo della fede in Dio, che è Signore della vita e della morte; che viviamo della fiducia nella sua forza rinnovatrice, trasformatrice, che si è dimostrata nella resurrezione di Gesù dai morti; che non lasciamo affondare la speranza in un mondo in cui gli esseri umani vivano insieme in pace e in cui siano vinti l’odio e la violenza.

Il messaggio della Resurrezione insegna a vedere il mondo con occhi nuovi. Schiude una visione più profonda della nostra vita; trasmette speranza e fiducia, anche se sappiamo, e spesso avvertiamo in modo concretissimo nel nostro corpo, che la nostra esistenza in terra è limitata. Il messaggio pasquale trasforma lo sguardo sulla nostra vita;  la pone nell’orizzonte della forza trasformatrice di Dio. Perciò ci volle un po’, affinché i primi testimoni della Pasqua riconoscessero che Gesù, che apparve loro come Vivente dopo la sua morte, era lo stesso che avevano conosciuto prima. Era lo stessa, ma in modo diverso: vivente che non ha più nulla a che spartire con la morte; che ha vinto la morte e che colloca in una prospettiva nuova anche la vita di coloro che vivono della sua resurrezione.

La fede cristiana si fonda sulla convinzione che morte e annientamento non hanno l’ultima parola; che Dio non ci lascia soli, proprio quando le cose si fanno difficili nella nostra vita, quando paura e dolore sono travolgenti, quando sembrano non esserci più vie d’uscita.

Il messaggio pasquale non nega le nostre paure, né minimizza le catastrofi che scuotono il nostro mondo. Paolo ci mette davanti agli occhi, in modo impressionante, come la fede in Dio, che è più forte della morte, spieghi la sua forza proprio nella disperazione, nella sventura e nell’oppressione. Paolo stesso sperimentò persecuzioni, paure e minacce. Ma era certo che Dio non l’avrebbe lasciato solo; che la sua forza si dimostrava tale proprio nella debolezza umana e che lo sosteneva. L’esperienza di Pasqua, pertanto, non è un disperato “bisogna andare avanti in un modo o nell’altro”. È la certezza che non siamo rimessi a noi stessi; che Dio sostiene questo mondo; che lo rinnoverà e che attuerà il suo ordine buono.

Pasqua, pertanto, è la celebrazione della forza trasformatrice di Dio, che si oppone alle forze negative e distruttive di questo mondo. I primi testimoni della Pasqua ne fecero esperienza travolgente. Ciò aprì i loro occhi ed essi compresero che Dio non pianta in asso; che c’è un nuovo inizio; che la vita ha vinto la morte. Paolo comprese che il messaggio pasquale è una nuova creazione. Dio ha agito come allora, quando creò il mondo. Ha di nuovo evocato la vita a uscire dal caos; ha respinto le potenze delle tenebre per mezzo della luce della sua forza di Creatore.

Creazione e nuova creazione: sono in stretto rapporto l’una con l’altra. Nella Resurrezione di Gesù dai morti, Dio ha promesso a questo mondo la sua fedeltà incrollabile. Ci ha assicurato che la luce chiara della prima creazione risplenderà anche alla fine, quando Dio immergerà questo mondo in uno splendore nuovo e porrà fine a tutte le nostre paure e preoccupazioni.

E così il messaggio pasquale ci arriva anche quest’anno. Ci grida che non sono la morte e l’orrore ad avere l’ultima parola; che la vita vince la morte; che attendiamo la gloria che Dio ha in serbo per questo mondo. In questo confidiamo, di ciò ci è dato vivere.

Amen.

Jubilate – Prof. Dr. Jens Schröter